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Caso Asia Bibi: il 13 ottobre davanti alla Corte Suprema

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Vatican Insider - pubblicato il 07/10/16
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Il caso di Asia Bibi è alla stretta finale: il 13 ottobre la Corte Suprema del Pakistan, nella sua sezione di Islamabad, ha fissato l’udienza per esaminare la vicenda della donna cristiana condannata a morte per blasfemia.  

Riferisce a Vatican Insider l’avvocato cattolico Khalil Tahir Sindhu, attualmente Ministro per i diritti umani e per le minoranze nel governo provinciale del Punjab: «La comparizione del processo di appello ‘Asia Bibi contro lo Stato’ è fissata sul calendario delle udienze il 13 ottobre. Ascolterà il caso la Sezione penale della Corte Suprema di Islamabad composta dal collegio dei tre giudici Mian Muhammad Saqib Nisar, Muhammad Iqbal Hameed Ur Rehman e Muhammad Manzoor Mali. Saremo lì con l’avvocato di Asia Bibi, Saif Ul Malook. Essendo un caso molto sensibile, avremo bisogno del sostegno e della preghiera per tutti e due». 

Asia Bibi, contadina del Punjab, si trova attualmente nel carcere femminile di Multan. Arrestata a giugno del 2009 in base alla nota legge di blasfemia, dopo un banale litigio delle compagne di lavoro nei campi, è stata condannata a morte nel novembre 2009, verdetto confermato in appello nel 2014. A luglio 2015 la Corte Suprema ha sospeso la pena e disposto il riesame del caso. 

L’avvocato cattolico promette il suo massimo impegno e racconta di pregare ogni giorno per Asia. Sindhu, che sarà in tribunale per seguire l’udienza tra le autorità, in veste istituzionale di rappresentante del governo provinciale, conferma le sue impressioni: «Avendo studiato a fondo il caso, sono convinto che sarà assolta. Le accuse sono chiaramente fabbricate. L’imam che è l’accusatore principale non è un testimone oculare della presunta blasfemia e riferisce circostanze che gli hanno solo raccontato. E’ una denuncia per sentito dire». 

Un altro elemento che la Corte esaminerà è a favore di Asia, secondo una giurisprudenza penale consolidata: «Il ritardo di cinque giorni tra l’episodio di presunta blasfemia e la presentazione della denuncia alla polizia contraddice uno dei principi-cardine della giustizia penale (la tempestività della denuncia) e avvalora l’ipotesi della cospirazione», spiega Sindhu.  

In passato, specialmente, nei giudizio davanti al tribunale di primo grado, «le pressioni degli estremisti islamici hanno orientato la condanna», ricorda il Ministro, «ma ora è il momento di restituire la libertà a una innocente: sono fiducioso nell’operato della Corte Suprema che dimostrerà trasparenza, correttezza ed equanimità nell’amministrare la giustizia», ammette. 

Irregolarità e strumentalizzazioni nel caso Asia Bibi – divenuto un caso-emblematico nella richiesta di giustizia dei cristiani in Pakistan e negli abusi della legge di blasfemia – sono state segnalate anche dall’autorevole Centro studi Jinnah Institute di Karachi. Intitolato al fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah, l’istituto è un think-tank formato da intellettuali musulmani impegnato per lo stato di diritto e per un Pakistan democratico e laico, come voleva Ali Jinnah.  

L’istituto ha rilevato che «nelle indagini e negli interrogatori preliminari, condotti dalla polizia Asia non ha avuto un avvocato». Tale flagrante violazione di un diritto, costituzionalmente sancito, quello all’assistenza di un legale, «è sufficiente a invalidare la condanna», nota.  

Il Jinnah concorda con «l’ipotesi di orchestrazione delle accuse», operata nei giorni intercorrenti tra il momento del litigio (in cui Asia avrebbe commesso blasfemia) e quello in cui «Qari Muhammad Salim, leader religioso musulmano locale, citando tre donne come testimoni, ha registrato una denuncia ufficiale che ha condotto all’arresto di Asia». 

Tali perplessità e incongruenze erano descritte nel rapporto redatto da Shabhaz Bhatti e Salman Taseer, rispettivamente ministro federale per le minoranze e governatore del Punjab, entrambi assassinati nel 2011 per aver difeso Asia Bibi. Le pressioni sulla politica e sulla magistratura sono deleterie per il sistema, nota il Jinnah Intitute, ricordando l’omicidio del giudice dell’Alta Corte Arif Iqbal Bhatti, ucciso nel 1997 dopo aver assolto due ragazzi cristiani, in precedenza condannati a morte per blasfemia.  

Il caso di Asia Bibi, si afferma, deve servire come «sveglia» alla società pakistana per la tutela dei diritti umani; come richiamo al sistema giudiziario, che deve liberarsi di incompetenza e bigottismo; come invito al governo perché dimostri volontà politica di intervenire sul tasto dolente della legge di blasfemia.  

Su quest’ultimo punto, la Commissione per i diritti umani del Senato del Pakistan ha annunciato di recente una serie di incontri con esperti legali e studiosi di religione per discutere dell’uso improprio della legge di blasfemia, tirata in ballo – come nel caso di Asia Bibi – per vendette personali

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