«Il Presidente cinese mi ha inviato un regalo. Ci sono buone relazioni», ha rivelato en passant Papa Francesco durante la conferenza stampa ad alta quota realizzata domenica sera sul volo che da Baku lo riportava a Roma. L’indiscrezione di “fonte papale”, che in altri tempi avrebbe suscitato eccitazioni mediatiche internazionali, è stata pressoché ignorata anche dalle agenzie stampa occidentali che seguono in maniera più accanita le vicende cattoliche cinesi. In realtà, la vicenda del dono cinese arrivato a Papa Francesco è piena di dettagli interessanti, tutti da decifrare alla luce del particolare momento attraversato dalle relazioni tra Cina popolare e Santa Sede. Hanno a che fare con l’oggetto in sé, con i latori del dono, e anche con la ricezione che la notizia ha avuto in ambito cinese.
Il regalo arrivato da Pechino al Vescovo di Roma è un drappo in seta che riproduce la lunga scritta in ideogrammi riportata nella famosa Stele di Xian, conosciuta anche come la Stele nestoriana: una stele epigrafica, alta tre metri e larga uno, eretta in Cina nel 781, al tempo della dinastia Tang, allo scopo di documentare i primi 150 anni di presenza cristiana nestoriana nel Paese. Il testo inciso nella Stele (tradotto nel 2001 anche in italiano dal monaco di Bose Matteo Nicolini Zani) fa riferimento alla croce e al battesimo, alla Trinità e al mistero dell’Incarnazione. Rappresenta l’attestazione storica della diffusione in Cina della antica Chiesa d’Oriente, di impronta nestoriana, considerata dagli storici come una delle progressioni missionarie più sorprendenti mai avvenute nella vicenda cristiana. Chi ha inviato quel regalo – suggeriscono sinologi avvezzi a decrittare il “linguaggio dei segni” prediletto dalle leadership cinesi – ha voluto mandare un messaggio carico di suggestive implicazioni: ha voluto ripetere che il cristianesimo, in Cina, non è un “prodotto d’importazione” recente, legato all’aggressione colonialista delle moderne potenze occidentali, ma è stato accolto nell’ex Celeste Impero fin dai primi secoli cristiani, e può essere riconosciuto come componente non posticcia della storia e della cultura cinese.
A consegnare il regalo cinese a Papa Francesco è stato Zhou Jinfeng, segretario generale della Fondazione cinese per la tutela della Biodiversità e lo sviluppo verde (China Biodiversity Conservation and Green Development Foundation), che ha preso parte al seminario di studio sull’Enciclica Laudato Si’, organizzato in Vaticano lo scorso 28 settembre dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dal Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace. La Fondazione cinese rappresentata al seminario vaticano è presieduta da Hu Deping, personaggio emblematico dell’attuale nomenclatura cinese: amico del Presidente Xi Jinping e del suo predecessore Hu Jintao, e soprattutto figlio di Hu Yaobang, il Segretario del Partito Comunista cinese, considerato un riformatore, estromesso dal potere nel 1987 dal suo ex mentore Deng Xiaoping, e la cui memoria è stata pienamente riabilitata negli ultimi tre lustri. Hu era morto per un attacco cardiaco nel 1989. Di lì a poco, la protesta degli studenti a Piazza Tienanmen aveva fatto proprio della destituzione di Hu un emblema delle pratiche più deprecabili del potere cinese.
Il sito della Fondazione presieduta da Hu Deping ha subito messo in rete la foto della consegna del dono al Papa, riferendo tra l’altro che il Vescovo di Roma lo ha «accettato con grande gioia». Gli organi più ufficiali degli apparati cinesi non hanno commentato la vicenda del regalo giunto al Papa da Pechino. Ma la notizia ha trovato spazio in organi d’informazione online comunque allineati con il governo, come Duo Wei Xin Wen, dove è stato anche indicato il Presidente Xi come “mandante” dell’operazione.
A febbraio, nell’ultima risposta dell’intervista sulla Cina rilasciata a Asia Times, Papa Francesco aveva rivolto al Presidente Xi Jinping gli auguri per l’imminente Capodanno cinese. Adesso, per la prima volta, sui media cinesi viene lasciata circolare la notizia di un gesto di cortesia nei confronti del Papa attribuito al massimo leader politico cinese.
In passato, i messaggi inviati dai Papi (cominciando da Paolo VI) ai capi del Partito di Pechino non avevano avuto risposte dirette. Oggi le informazioni fatte passare sui media cinesi riguardo a un dono al Papa attribuito al Presidente Xi sono il segno che è caduto un vecchio tabù.Lo confermano al loro livello anche le reazioni ufficiali espresse da Pechino in merito alle recenti esternazioni “cinesi” di Papa Francesco, che sul volo di ritorno da Baku aveva parlato anche di «buoni rapporti» tra Cina e Santa Sede, e si era detto «ottimista» sugli esiti del dialogo tra le due parti affidato alle commissioni di lavoro. I funzionari cinesi del Ministero degli Affari Esteri, interpellati in merito alle parole del Papa, hanno ripetuto anche loro che «i rapporti tra Vaticano e Cina sono buoni» aggiungendo che «in questo momento i canali di dialogo tra le due parti sono chiari e effettivi», e che esiste la volontà «per continuare un dialogo costruttivo» e «lavorare insieme per portare avanti il processo di continuo miglioramento dei rapporti bilaterali».
Anche la reazione ufficiale cinese alle ultime considerazioni papali sulla Cina -apparsa più conciliante e meno stereotipata rispetto a precedenti pronunciamenti rilasciati sulla “questione vaticana” dai funzionari di Pechino – può essere letta come un segno che la leadership cinese ispira e sostiene la scelta di dialogare con la Santa Sede per risolvere le tante e complesse questioni aperte tra Cina e Chiesa cattolica. Senza rese da imporre all’altra parte, ma cercando di avanzare lungo la via del “beneficio possibile” per entrambe le parti. Come ha scritto sul suo blog il missionario Antonio Sergianni, appassionato conoscitore dei cammini del cattolicesimo cinese, «l’ottimismo sui rapporti tra Vaticano e Cina, espresso nei mesi scorsi dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, è ora confermato da Papa Francesco e dal Governo cinese».