Don Vincent, dagli hippies ai malati terminali di Andrea Zambrano
Cercare Dio è un ricordo che riaffiora: una madre che ti culla, ma che lentamente sta morendo. E una madre che ti rialza, una madre celeste. Per Padre Vincent Nagle la scoperta di quel Dio nel quale tutto si compie ha le sembianze di un’immagine plastica, onirica, codificata nel momento più duro dell’esistenza, quando si sta per lasciare la vecchia vita e si intravede un esito nuovo che sta arrivando, ma ancora non si conosce e per questo lo si teme. Il sacerdote americano della Fraternità San Carlo sarà uno dei protagonisti della Giornata della Nuova Bussola Quotidiana che si svolgerà domenica a Monza. E parlerà di sé, della sua vita ai nostri occhi così avventurosa per mostrare attraverso quale tortuoso percorso si possa giungere ad abbracciare una fede che è principalmente un incontro con la verità.
L’accento californiano rende ancor più coloriti i contorni del suo percorso, un percorso, anche questo, di ricerca. Quaerere Deum, cercare Dio, ma partendo da un contesto di partenza lontanissimo da Lui. Quasi irraggiungibile con le nostre forze umane. Vincent in fondo poteva dire di essere nato nel migliore dei mondi possibili secondo il dettato umano delle nostre vanità. Se nasci nel ’58 in California da genitori newyorkesi impastati di cultura lib e hippie, non puoi che considerarti al centro del mondo. Un padre cattolico, sindacalista e militante del Partito Democratico, una madre ebrea, figlia di una stella di Broadway.
Sembra quasi un cliché pronto uso per un qualche mito hollywoodiano, ma non riusciamo a immaginarci lei che leggeva William Blake vicino a una finestra e lui che beveva caffè perché in fondo la vita inizia quando finisce l’ultima strofa. Nonostante desiderasse molti figli, la mamma di Vincent non riusciva ad affezionarsi a loro e tentò due volte il suicidio. Pesava come un macigno il suo passato di abbandoni e ferite e forse per capire l’approdo di don Vincent bisogna rileggere in parallelo il percorso dietro le quinte della madre: negli anni della beat generation è una hippie sfegatata che porta la famiglia a vivere nella foresta per vivere più a contatto con una natura non corrotta dalla società.
Illusioni, si dirà. Mille esperienze distruttive nella società americana così già aperta a sperimentare la fuga dalla realtà: buddismo, new age che diventa un preciso catechismo di famiglia e poi sesso libero, droga, musica psichedelica. Vincent subisce impaurito quelle rivoluzioni che continuamente spostano il baricentro dei suoi affetti. Lasciando una domanda: ma qualche cosa di vero, qualcuno che risponda a quel desiderio di eternità e amore ci sarà da qualche parte?
La paura di Vincent risuonava come un grido intricato nella foresta eletta innaturalmente a nido famigliare. E con essa risuonava la sua preghiera nascosta. Che ha scavato dentro di sé fino a quell’incontro con un sacerdote, a 16 anni, che nel corso di un campeggio gli mostra un’altra vita. Qualcosa si accende, ma è ancora terribilmente intricato. Ma si snoda lentamente secondo un tracciato unico e irripetibile: gli affetti, una fidanzata, un abbandono, l’esperienza del viaggio. E poi la conversione radicale, i dubbi sulla scelta vocazionale, l’incontro con don Giussani e infine l’approdo alla Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo, dove ad accoglierlo c’è un altro sacerdote, don Massimo Camisasca.
Proprio nell’incontro del futuro vescovo di Reggio Emilia con la madre c’è la chiave che apre le porte di tutte le stanze che si affacciano sul corridoio buio. “Dopo un anno che ero in seminario – ha raccontato alla Nuova BQ recentemente -, Don Massimo è venuto negli Stati Uniti per conoscere la mia famiglia. Mia mamma mi ha chiesto di presentarle il prete della zona e ha deciso di battezzarsi, fare la comunione e la cresima. Io non osavo chiedere niente, ma finalmente quando ci siamo parlati lei mi ha detto: quando Don Massimo è stato qua, ho visto quanto la Chiesa ti vuole bene e anche io voglio poterti amare così. Questo episodio di mia mamma fa vedere che una persona cede al cristianesimo perché ha bisogno. Ciò che ha cambiato me non è stato che difendevo la verità della Chiesa, ma vedere una Presenza. Non è un progetto, ma Gesù che mi invita in una compagnia”.
Oggi don Vincent vive a Milano nella parrocchia di San Carlo alla Ca’ Granda a Niguarda ed è cappellano della Fondazione Maddalena Grassi, un’opera che si occupa dell’assistenza soprattutto ai malati terminali. Ma si occupa anche di famiglia e di educazione, proprio perché chi ha ricevuto tanto per la sua famiglia è in grado di restituire tanto. Le sue catechesi e testimonianze fanno il tutto esaurito. Anche perché don Vincent sa di che cosa parla.
“Mia sorella è un’esponente molto conosciuta di una certa espressione della cultura lesbica. Dunque, io sono cresciuto proprio nell’ambiente omosessuale. Quando ero ragazzo la nostra casa in California era frequentata da diversi personaggi di rilievo di questa cultura, persone con cui spesso mi capitava di discutere, e posso dire con certezza che tutto quello che oggi sta accadendo era già scritto e stabilito. Mi raccontavano come il loro obiettivo fosse innanzitutto quello di impadronirsi dell’educazione, di entrare nelle scuole, specialmente in quelle elementari, per diffondersi nei corridoi della politica e della burocrazia”. E’ un programma di distruzione di massa che si sta attuando secondo un disegno diabolico.
Che però non potrà avere l’ultima parola perché l’happy end, sembra suggerirci la sua storia, non è un cartellone sul sunset boulevard, ma è un fatto che si fa Presente oggi come ieri. “L’educazione cristiana – ci spiega – consiste nell’introdurre chi ci è stato affidato in una grande avventura che ha un buon finale. É poter partecipare non solo a una grande storia, ma alla Grande Storia”.