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Una storia “terribile e magnifica” di bulimia

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Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 05/10/16
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Il diario di un coma «perché vada perso il meno possibile della vita»«E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te».

A questo verso della meravigliosa canzone di Battiato fa pensare il libro di Alessandro Mazzochel: “La caduta delle farfalle” (Città Nuova editrice), un diario in cui l’autore racconta la storia vera della sua ragazza malata di bulimia alla quale scrive mentre lei è in coma in ospedale a causa di un arresto cardiaco.

«MI ACCORGO CHE STAI MORENDO»

Quando Wendy si sente male è in casa con il fidanzato, è mattina presto e stanno dormendo, lui inizialmente sente dei rantoli, crede che si tratti di un incubo e prova a svegliarla. Poco dopo si accorge che il viso della giovane è cosparso di macchie viola e gialle, che le esce schiuma dalla bocca e che ha le braccia rigide…

«(…)mi accorgo che stai morendo… Ora, mentre scrivo queste righe, riprendo in mano il tuo cellulare, ripercorro le chiamate… ecco, il 118 l’ho chiamato alle 6.29. Nove minuti da quando ho sentito i tuoi rantoli. Per quasi quattro minuti cerco di spiegare all’operatore la situazione, dove abitiamo e che soffri di bulimia. Mi dice di chiudere la conversazione e spostarti su una superficie rigida. Sollevo il tuo magro corpo dal letto, la testa mi scivola dalle braccia, credo di averti fatto del male ma con l’avambraccio ti sollevo e riesco a portati in salotto, sopra il tappeto. (…) Sono quasi certo che tu oramai sia morta. Dopo qualche istante, alle 6.34, mi richiama l’operatore. Mi fa mettere un cuscino sotto i tuoi capelli, come ho fatto a non pensarci? Apri gli occhi di scatto, lo sguardo fisso, senza luce, perso nel vuoto, forse per sempre… quello dei morti… Mi chiede se respiri. Non lo so, non lo capisco».

«L’HAI SALVATA»

Aiutato dall’operatore al telefono, Alessandro comincia il massaggio cardiaco e così le salva la vita:

«Ogni colpo di massaggio è un rantolo di aria cavernosa (…) e poco dopo sento in lontananza una sirena. Le braccia hanno ormai perso vigore, mi rendo conto di aver diminuito il ritmo ma resisto finché non sento vicinissima l’ambulanza. (…) Il dottore e l’infermiera, dopo aver tastato la gola, mi dicono: «Questa è in arresto cardiaco». Temevo dicessero: «Questa è andata». Poi tutto avviene velocemente. Estraggono il defibrillatore da una sacca di plastica nera e iniziano a praticare le prime cure. «È bulimica», continuo a dire. «Ha preso troppi calmanti?», insiste a chiedere il dottore. «Non penso, non è tipo, non lo ha mai fatto», rispondo. (…) Sono sicuro, ma cerco per scrupolo mentre loro continuano con il massaggio cardiaco e un’altra defibrillazione. Rovisto ovunque, in frigo, nella dispensa della cucina, nel bagno, nelle borse, nei comodini… Non trovo nulla. Torno. Dopo la terza defibrillazione riparti a respirare. «Qui è stato il parente», commenta la donna, ai tuoi piedi. «Sono stato io?», chiedo preoccupato «a rovinare qualcosa? Ho causato io l’arresto?». «No, l’hai salvata», mi rispondono tutti e tre. «Andava bene quello che ho fatto, allora?»; me lo confermano».

UN DIARIO… «PERCHÉ VADA PERSO IL MENO POSSIBILE DELLA VITA»

Wendy è viva ma in coma, i medici non sanno se si risveglierà e neppure in quali condizioni. Alessandro decide di scriverle, di tenere un diario dove annotare tutto per quando riaprirà gli occhi e comincerà a lottare contro la grande nemica: la bulimia. Perché lui ci crede, nonostante lo sconforto e il dolore, crede che Wendy possa farcela e che tutto questo dolore abbia un senso. Per questo scrive, per lei e anche per se stesso:

«Mi sono ritrovato a scrivere di nuovo queste pagine per te, un impulso automatico. Dico a me stesso che sono per te, per quando ti risveglierai, per quando ricomincerai a capire. Una specie di diario perché vada perso il meno possibile della vita, uno stimolo per la tua volontà di guarire e vincere sulla malattia. Forse invece scrivo per me, per esteriorizzare, per razionalizzare, per vanità. Forse si scrive sempre per tutte queste ragioni».

«LA MALATTIA VI FA BUGIARDE»

Sono giorni di ansia, paura e angoscia. La famiglia di Wendy, con cui ha sempre avuto difficoltà di relazione, è riunita intorno a lei in attesa di buone notizie. Alessandro guarda il corpo fragile della donna che ama, sembra una foglia secca o una farfalla leggera, è ricoverata in terapia intensiva ed è molto grave. I medici informano che l’attacco cardiaco è stato causato da ipopotassiemia e che Wendy pesa poco più di 40 kg non 50 come aveva detto al suo ragazzo… «La malattia vi fa bugiarde, spudoratamente ipocrite».

«SERVIRÀ, TUTTO QUESTO, SERVIRÀ»

Alessandro nei giorni successivi al malore di Wendy ricomincia a pregare, prende in mano la Bibbia dopo moltissimi anni. Anche la famiglia di Wendy sembra ritrovare improvvisamente un po’ della serenità che è sempre mancata, qualcosa di speciale è già accaduto:

«È già successo qualcosa, tuo padre e tua zia si sono riavvicinati, tua sorella in lacrime che ha intravisto la parte finale della malattia, quella che si nasconde a se stessi, che non capiterà, che è sempre lontana ed estranea. Servirà, tutto questo, servirà. Anzi, serve già. Non sei una persona che ha terminato di dare qualcosa al mondo. Vivi ancora e il sentimento che ti circonda dimostra questo altro. Lo dicevano: se Dio non c’è, l’ospedale deve far nascere Dio».

Quando Wendy si risveglia dal coma sta bene, nessuna funzione è compromessa, con i giorni riacquista le forze. La gioia è immensa seppure la malattia si riaffaccia prepotentemente, con i soliti meccanismi distruttivi. La pazienza di Alessandro pare vacillare, ma le resta accanto, la segue in bagno, controlla i suoi comportamenti, non la molla, continua ad amarla.

Come scrive nel libro la giornalista Chiara Andreola che ha sofferto a lungo di anoressia, la storia raccontata da Alessandro Mazzochel è…

«Un racconto che non offre “risposte” a chi si sta prendendo cura di qualcuno che soffre, o a chi nella sofferenza è accudito da altri – magari con relativi sensi di colpa, nella convinzione di essere un peso: ma semplicemente una testimonianza dei piccoli, grandi miracoli che questa perseveranza può fare. Per riscoprire che quel tempo, quello smarrimento e quella solitudine donati non sono stati fatica sprecata, ma hanno dato vita a qualcosa di molto più grande».

Continua la giornalista:

«(…)nello scrivere queste righe, non posso che incontrarmi e scontrarmi con quella che è stata la mia esperienza con l’anoressia. Dal nascondere la malattia, all’essere presa per mano dal fidanzato prima e marito poi, alla voglia di “far sapere”, fino al finale con la comparsata in tv – ebbene sì, anche quella –, tutto mi ha fatto ripercorrere quei passi, pur nelle differenze tra la mia storia e quella di Wendy».

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IL DONO INCONDIZIONATO CHE SALVA

È un libro che parla di quanto sia prezioso farsi dono, non risparmiare nulla di sé. Alessandro infatti, seppur pieno di domande, rabbia e dubbi…

«Sa fare dono del suo tempo, della sua incredulità e disorientamento davanti a quello che sta accadendo, del suo non capire che cosa sia passato nella testa di quella ragazza che pur ama, e anche dell’insensatezza apparente di continuare ad amare e aiutare una persona che pare voler rifiutare simili attenzioni. Di quella solitudine di trovarsi in un deserto dove tutte le porte erano chiuse. E forse è proprio il dono incondizionato, in una sorta di logica dell’insensato, che consente di arrivare là dove nessuno psicologo, nessun medico, nessun farmaco – per quanto siano sostegni preziosi e necessari – potrebbero arrivare da soli».

LA CURA… «GUARDATOLO, LO AMÒ»

Wendy è salvata anche dall’amore del suo ragazzo, è lei stessa a dirlo una volta fuori pericolo. Oltre ai farmaci, al sostegno psicologico e alle cure dietologiche, sono state fondamentali le cure di Alessandro. In un saggio all’interno del libro il dottor Pasquale Ionata affronta in maniera approfondita e scientifica la tematica della cura, indagandone le svariate sfaccettature e offrendo una visione completa al lettore. Nella parte finale si sofferma sull’importanza dello sguardo e conclude con una bellissima immagine del Vangelo: Gesù che guardando ama, conosce, guarisce.

«(…) bisogna vivere sempre la cura utilizzando in primis lo “sguardo”, perché come si è già detto: “guardare è curare”, come conferma un altro passo evangelico: «Guardatolo, lo amò». E non è certo un caso che l’immagine dell’occhio simboleggi presso tutti i popoli l’occhio divino che vede tutto. È questa la vera spiegazione psicologica del perché diciamo che tra tutti gli amori umani quello che assomiglia di più all’Amore di Dio è proprio l’amore materno, la forma di amore umano più incondizionato che esista. E lo stesso protagonista de La caduta delle farfalle, commentando il suo stato d’animo preoccupato durante il periodo in cui la sua ragazza è ricoverata nel reparto ospedaliero di rianimazione perché ancora in pericolo di vita, così cita: «Se Dio non c’è, l’ospedale deve far nascere Dio».

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