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“La Chiesa non si affidi ai criteri dell’efficienza organizzativa”

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Vatican Insider - pubblicato il 01/10/16
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«Beata la Chiesa che non si affida ai criteri del funzionalismo e dell’efficienza organizzativa e non bada al ritorno di immagine». Da Tbilisi, in Georgia, nel secondo e penultimo giorno della sua visita in Caucaso, Papa Francesco celebra la messa allo stadio per i cattolici alla presenza delle autorità del Paese e dei rappresentanti della Chiesa ortodossa e delle altre confessioni cristiane. La santa festeggiata il 1° ottobre è Teresina di Lisieux: l’occasione per un messaggio che va al di là della realtà georgiana. Le parole sulla libertà dalle tentazioni del «funzionalismo» e dell’efficientismo appaiono infatti particolarmente significative se applicate alle recenti riforme in atto nella Curia romana.

Il Papa è giunto poco prima delle nove allo stadio Mikheil Meskhi, intitolato al «miglior calciatore georgiano del XX secolo», in grado di ospitare fino a 27 mila persone. Ma alla messa – come già accaduto con Giovanni Paolo II nel 1999 – partecipa qualche migliaio di fedeli, che indossano cappellini bianchi e gialli, i colori della bandiera vaticana. I cattolici sono il 2,5 per cento nel Paese (circa 112 mila fedeli), la maggior parte di loro appartengono alla Chiesa armena e a quella caldea in comunione con Roma. Nella capitale Tbilisi la percentuale scende all’1%. Francesco ha percorso lo stadio a bordo di una piccola golf-car elettrica, fermandosi a salutare molti bambini. Alla celebrazione assistono delegazioni di diverse confessioni cristiane, ma non ci sono vescovi del patriarcato ortodosso. Due giorni prima dell’arrivo del Papa, il 28 settembre 2016, il Patriarcato ha rilasciato una dichiarazione prendendo le distanze dalle critiche dei gruppi ortodossi più oltranzisti, affermando che la messa allo stadio per i cattolici non può essere considerata «proselitismo», ma affermando al contempo che «i fedeli ortodossi non partecipano alla celebrazione».

In prima fila c’è il presidente georgiano Georgi Margvelashvili. All’inizio del rito, il Papa e i vescovi concelebranti sono passati attraverso una Porta santa, aperta nel vuoto. Nell’omelia, Bergoglio ha preso spunto dagli scritti di santa Teresina per dire che «tra i tanti tesori di questo splendido Paese risalta il grande valore delle donne. Esse – scriveva Santa Teresa di Gesù Bambino, di cui facciamo oggi memoria – “amano Dio in numero ben più grande degli uomini”. Qui in Georgia ci sono tante nonne e madri che continuano a custodire e tramandare la fede».

Francesco ha definito la Chiesa come «la casa della consolazione», dove «Dio desidera consolare». «Possiamo chiederci: io, che sto nella Chiesa, sono portatore della consolazione di Dio? So accogliere l’altro come ospite e consolare chi vedo stanco e deluso?  Pur quando subisce afflizioni e chiusure, il cristiano è sempre chiamato a infondere speranza a chi è rassegnato, a rianimare chi è sfiduciato, a portare la luce di Gesù, il calore della sua presenza, il ristoro del suo perdono».

«Cari fratelli e sorelle – ha continuato il Papa – sentiamoci chiamati a questo: non a fossilizzarci in ciò che non va attorno a noi o a rattristarci per qualche disarmonia che vediamo tra di noi. Non fa bene abituarsi a un “microclima” ecclesiale chiuso; ci fa bene condividere orizzonti ampi e aperti di speranza, vivendo il coraggio umile di aprire le porte e uscire da noi stessi».

C’è però, ha spiegato, una condizione di fondo «per ricevere la consolazione di Dio, che la sua Parola oggi ci ricorda: diventare piccoli come bambini… Per accogliere l’amore di Dio è necessaria questa piccolezza di cuore: solo da piccoli, infatti, si può essere tenuti in braccio dalla mamma».

«Per essere grandi davanti all’Altissimo – ha spiegato Francesco – non bisogna accumulare onori e prestigio, beni e successi terreni, ma svuotarsi di sé. Il bambino è proprio colui che non ha niente da dare e tutto da ricevere. È fragile, dipende dal papà e dalla mamma. Chi si fa piccolo come un bimbo diventa povero di sé, ma ricco di Dio». Per questo «ci farà bene ricordare che siamo sempre e anzitutto figli suoi: non padroni della vita, ma figli del Padre; non adulti autonomi e autosufficienti, ma figli sempre bisognosi di essere presi in braccio, di ricevere amore e perdono».

Bergoglio ha tratto da questo sguardo un nuovo elenco di beatitudini: «Beate le comunità cristiane che vivono questa genuina semplicità evangelica! Povere di mezzi, sono ricche di Dio. Beati i pastori che non cavalcano la logica del successo mondano, ma seguono la legge dell’amore: l’accoglienza, l’ascolto, il servizio. Beata la Chiesa che non si affida ai criteri del funzionalismo e dell’efficienza organizzativa e non bada al ritorno di immagine». Perché, ha concluso Francesco con le parole di santa Teresina, «Gesù non domanda grandi gesti, ma solo l’abbandono e la riconoscenza» e dunque l’atteggiamento più adeguato quello dell’«abbandono del piccolo bambino, che si addormenta senza timore tra le braccia di suo padre».
 

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