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La percezione dello “Spirito di Assisi” nel mondo ebraico

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Vatican Insider - pubblicato il 29/09/16
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Personalità leader della religione ebraica provenienti da varie parti del mondo si sono riunite ad Assisi in una bella giornata di sole, a trent’anni dallo storico summit multi-religioso per la pace voluto da Giovanni Paolo II. Nel 1986, era presente solo una piccola delegazione di ebrei di Roma guidata dall’ex Rabbino Capo Elio Toaff, che prese parte ad un “Linud” (una sessione di studio – preghiera) durante l’ora di preghiere separate ma simultanee condotte dai delegati delle principali religioni mondiali. Io ebbi il privilegio di far parte del gruppo ebraico e ricordo quando offrii il mio cappotto per coprire le spalle di un altro delegato ebreo, il Dott. Joseph Lichten, un anziano diplomatico polacco in esilio. Faceva molto freddo, c’era un vento tagliente di tramontana. Rimanemmo stupiti di fronte alla determinazione del delegato Nativo Americano, che affrontava il gelido clima a petto nudo, senza vacillare. Sentivamo all’epoca una iniziale speranza timida e un poco diffidente, che si è trasformata da allora in un impegno significativo. 

Oggi, sempre più ebrei, assieme ai fedeli di altre religioni, riconoscono che la diplomazia inter-religiosa, lo “Spirito di Assisi” – l’uso della religione come forza per il bene e alleata degli operatori di pace – è un potente e principale antidoto contro l’estremismo religioso e il terrorismo. Il suo speciale simbolismo spirituale e politico ha trovato espressione, durante tre giorni di commemorazione organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio dal titolo “Sete di Pace”, nella presenza del Presidente Mattarella durante i lavori di apertura, e nella partecipazione personale di Papa Francesco nella giornata conclusiva. 

Le parole di Francesco hanno risuonato nel profondo della coscienza di ognuno: «mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa, non la guerra! Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso». 

In maniera ancora più concisa si è espresso Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nell’appello contro il “totalitarismo religioso” dei nostri tempi. 

E lo stesso tema ha attraversato i discorsi precedenti dei quattordici delegati di religione ebraica (8 provenienti da varie nazioni europee e 6 da Israele, tra cui intellettuali e leader della società civile: i rabbini capo di Roma, Milano, Firenze e Genova, Riccardo Di Segni, Alfonso Arbib, Joseph Levi, Giuseppe Momigliano) che hanno preso parte alle sessioni, partecipato alle pubbliche assemblee e guidato e partecipato nelle tavole rotonde. 

Il rabbino David Rosen, Direttore Internazionale per gli Affari inter-religiosi dell’AJC – l’American Jewish Committee – ha affermato che i testi sacri dell’ebraismo, così come quelli delle altre religioni, «possono essere usati come veleno o come una medicina salvifica, a seconda delle loro interpretazioni». E come ha ripetuto molte volte, «la religione deve diventare parte della soluzione, non parte del problema». 

Tutti si sono trovati d’accordo nell’affermare che la religione può essere utilizzata, come lo è spesso oggi in maniera perversa, come arma di morte e distruzione invece di trasmettere i suoi veri valori spirituali. Tutti i testi sacri richiedono interpretazione, e spetta ai leader spirituali di tutte le religioni di trasmettere il vero messaggio ai loro fedeli. Questi pensieri sono stati condivisi dai 500 leader religiosi, culturali e della società civile provenienti da oltre 60 Paesi: rappresentanti delle diverse denominazioni della Cristianità; delle maggiori religioni orientali – indù, sikh, jainisti, buddisti; leader musulmani arabi, indonesiani e africani, tra cui il Vice Rettore dell’Università Sunnita di Al Azhar del Cairo; ebrei israeliani e dalla diaspora. 

Nell’emozionante cerimonia finale che si è svolta all’esterno, nella piazza di fronte alla basilica, diversi rappresentanti religiosi hanno acceso la fiammante lampada di pace, e giovanissimi fanciulli hanno ricevuto varie copie di un appello firmato dai religiosi per consegnarlo a mano agli ambasciatori internazionali seduti nel pubblico, un rituale commovente che si ripete ogni anno. 

Una caratteristica unica di questi incontri sono i rapporti e le amicizie che nascono tra i leader religiosi durante e al di fuori delle molte tavole rotonde condotte dai vari rappresentanti, i cui Paesi spesso non intrattengono rapporti diplomatici l’uno con l’altro. I numerosi ebrei della diaspora e israeliani sedevano vicino alle varie personalità musulmane e cristiane dai paesi arabi e dell’Asia. 

Quest’anno ha visto la partecipazione di sei israeliani tra cui cinque rabbini (incluso il rabbino capo di Tel Aviv, Israel Meir Lau), e sette rabbini della diaspora oltre al Presidente della Comunità Ebraica di Roma. Sono venuti da Roma, Firenze, Milano e Genova, e dalla Germania, dalla Turchia, dalla Bosnia, dalla Francia e dagli Stati Uniti, e hanno pronunciato discorsi alle cerimonie di apertura e di chiusura, oltre che alle varie tavole rotonde inter-religiose su temi di attualità. 

Il rabbino David Brodman, israeliano di Tel Aviv e sopravvissuto al campo di concentramento di Theresienstadt ha detto: «Partecipo a questo meraviglioso incontro quest’anno per la decima volta. Sono profondamente grato e colpito da tutto ciò che la Comunità di Sant’Egidio ha fatto per me e per il mondo. Grazie a loro, ho avuto la possibilità di incontrare ancora una volta il mio caro amico, il Santo Padre. In quanto rabbino, uso il termine “santo” perché Maimonide disse che la più grande virtù è l’umiltà, e l’umiltà è un segno della santità. In Papa Francesco ho visto un chiaro esempio di umiltà e di santità per i nostri tempi, così come San Francesco lo fu per i suoi. Per me, lo spirito di Assisi è il più grande esempio di umiltà e di santità, ed è la risposta alla tragedia della Shoah e di tutte le guerre, perché siamo qui a dire al mondo che è possibile essere amici e vivere insieme in pace anche se siamo diversi. Sono divenuto parte di questo spirito unico da vecchio: tutti sono diversi ma tutti sono insieme nel coraggio del dialogo, per prevenire tutti i conflitti e per creare un mondo umano in cui ognuno possa riconoscere l’immagine di Dio nell’altro». 

Così come ogni anno in Italia Sant’Egidio ricorda con marce silenziose l’anniversario delle deportazioni degli ebrei da Roma e Milano, e durante questo grande evento inter-religioso la Comunità indice una sessione speciale dedicata alla memoria della Shoah. Quest’anno Israel Meir Lau, Rabbino Capo di Tel Aviv ha voluto condividere la testimonianza personale della sua esperienza della Shoah con i giovani presenti, con il titolo “Non c’è futuro senza memoria”. 

Altre sessioni sono state occasioni per testimoniare il profondo coinvolgimento dei delegati ebrei nei rapporti e nel dialogo inter-religioso. Durante uno speciale incontro, il Rabbino David Rosen assieme a Walter Kasper, ex Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani; all’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby; al fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi e al Viceministro al Ministero degli Affari Esteri Mario Giro, hanno celebrato il venticinquesimo anniversario dell’elezione a Patriarca Ecumenico di Costantinopoli di Sua Santità Bartolomeo Primo. 

Il Rabbino Rosen ha anche moderato un incontro sul dialogo cristiano-ebraico. Ha ricordato il profondo significato dei passi in avanti in questo campo. «Nulla si può paragonare alla trasformazione delle relazioni ebraico-cristiane nei nostri tempi», ha affermato. «Un popolo che in passato la Chiesa presentava come condannato, rifiutato da Dio, e in combutta con il demonio, è visto oggi nelle parole di San Giovanni Paolo II, come “l’amato fratello maggiore nella Chiesa dell’Alleanza Eterna”, con il quale la Chiesa ha una relazione “intrinseca” unica”. Il rabbino Rosen ha concluso dicendo che “se questa relazione così malata, così avvelenata, così negativa, è riuscita a diventare la relazione costruttiva e positiva che vediamo oggi, allora non c’è relazione alcuna che non possa essere trasformata… e possiamo trasformare il mondo nel tipo di mondo che le nostre religioni ci insegnano potrebbe essere veramente». 

Anche il rabbino israeliano Jaron Engelmayer ha parlato dei grandi progressi nel dialogo ebraico-cristiano degli ultimi 50 anni, «un vero dialogo tra le due religioni – uno scambio onesto guardandosi dritto negli occhi!». Ha affermato poi che questo trentesimo anniversario «è un buon motivo per celebrare». Molte amicizie sono nate da questi dialoghi e «le forze della pace e dell’armonia nel mondo si sono rafforzate in maniera significativa…». 

Riguardo le relazioni ebraico-cristiane, è interessante notare che, malgrado non siano stati messi esplicitamente a confronto, alcuni messaggi nei testi ebraici citati dai vari relatori si trovavano anche nei Vangeli cristiani. Ad esempio, il rabbino Engelmayer ha citato Pirke Avot, le Massime dei Padri, 3.3: «Come è detto: quando due persone siedono assieme e parlano delle parole della Torah, dio è presente” (Malachi 3:16); e in Matteo 18:19-20 si legge: “ Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». 

Oder Wiener, ex Direttore Generale del Rabbinato di Israele, ha presenziato un incontro speciale sulla Co-esistenza inter-religiosa in Israele con i rappresentanti dell’Unione delle Comunità Religiose, l’Unione degli Imam, la Comunità Drusa, il Ministero dell’Interno, il Patriarca Latino di Gerusalemme e il Prof. Daniel Sperber dell’Università di Bar Ilan. È stata una rara opportunità per così tanti ospiti di approfondire i temi della tolleranza e della cooperazione in Israele. 

All’apertura dei lavori, Oder Wiener ha voluto ringraziare la Comunità di Sant’Egidio. Ricordando la sua partecipazione a varie conferenze passate, ha affermato che «non c’è dubbio che abbiano apportato un contributo importante alla conoscenza e alla comprensione tra le religioni…» e per un mondo migliore dove «…non ci siano la violenza, l’aggressione e l’uso della forza». 

Anche a rischio di ripeterci, va ricordato che, a detta dei partecipanti di religione ebraica, una grande barriera di diffidenza radicata nella storia passata è stata abbattuta principalmente dagli assidui sforzi bilaterali e multilaterali compiuti da cristiani, ebrei e da altre religioni nell’avvicinarsi l’una all’altra. Sant’Egidio ha svolto e continua a svolgere un ruolo importante in questo processo. 

*Lisa Palmieri-Billig è Rappresentante in Italia e di Collegamento presso la Santa Sede dell’AJC – American Jewish Committee. 

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