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Come possono convivere Apocalisse e futuro del cosmo?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 28/09/16
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Un modo c’è. Il libro va colto nei suoi significati simbolici e non letterali. Mentre le ipotesi scientifiche sul futuro del cosmo vanno ben distinte dall’eschaton Come far convivere Apocalisse e futuro del cosmo? E’ possibile incrociare due tesi, quella della religione e quella della scienza che appaiono radicalmente opposte?

Prova a farle dialogare Simone Morandini in “Evoluzione e creazione” (edizioni Messaggero Padova), spiegando, innanzi tutto, che «osservazioni recenti circa la velocità di allontanamento delle galassie suggeriscono piuttosto che l’espansione stia accelerando e che dunque non sia ragionevole prevedere alcuna inversione: un’ipotesi che sembra disegnare scenari di densità di materia decrescente per il nostro universo».

La vita biologica pare destinata a una fine, non per quanto possiamo attualmente sapere, nell’esplosione finale del Big Crunch, ma piuttosto in un universo a bassa densità. La fisica, insomma, lascia ben poche speranze ai viventi per il remoto futuro cosmico.

LA SCIENZA ESIGE CERTEZZE

La teologia cristiana, osserva Morandini, deve essere consapevole che l’interazione con il discorso scientifico esige anche il riconoscimento delle sue caratteristiche di rigore.

La logica della conoscenza scientifica si basa su ciò che è sperimentale e dimostrabile: essa non può che pensare il futuro del cosmo come interrogativo su cui non è disponibile alcuna definitiva certezza per orientare la nostra esistenza. Se, per di più, gli scenari scientificamente possibili appaiono tutti sconfortanti, occorrerà ripensare una domanda di senso che dovrà indirizzarsi ad altri livelli.

TEOLOGIA E MILLENARISMI

La tradizione teologica cristiana sa bene che un discorso sul futuro non può esprimersi in una logica millenaristica come pretesa di descrivere le forme fattuali del futuro, ma nell’espressione simbolica di un senso promesso e atteso. Se, cioè, la teologia è chiamata a pensare il cosmo teologicamente, nella sua relazione a Dio ciò sarà particolarmente per il futuro.

LE INCERTEZZE DEL CRISTIANESIMO

Neppure nelle sue fasi iniziali, del resto, la tradizione cristiana offre una elaborazione organica o la chiarezza di una risposta senza ombre circa il futuro incerto o la sofferenza umana e cosmica; la fede non è eliminazione dell’enigma, che renderebbe tutto trasparente. Alla domanda su tempi e momenti della storia futura, Gesù stesso ribadisce che non è dato di conoscerli (Atti 1,7) e anche la numerologia dell’apocalittica va interpretata come costellazione simbolica, non come calendario escatologico.

IL MESSAGGIO DELL’APOCALISSE

Illuminante in questo senso può’ essere uno sguardo all’Apocalisse, testo complesso e simbolico. Tutto viene ripreso in una rilettura della storia centrata sull’Agnello immolato, sul Crocifisso vincitore della morte, fonte di speranza dell’umanità. Non un mito, né una cronologia salvifica miracolosamente disvelata sta al cuore della tradizione cristiana, ma il grido che confida nella continuità della benedizione di Dio: è la persona di Gesù Cristo – la sua pratica di amore senza limiti – la sua condivisione della sofferenza – a dare speranza alla Creazione. In Lui la fede scopre un Dio che si fa carico del creato tutto per condurlo alla città senza morte, né dolore. Il futuro non è più orizzonte temibile, ma promette una Resurrezione dei morti.

FUTURO DI SPERANZA

Una teologia attenta all’Apocalisse, insomma, dovrebbe essere causata rispetto ad una confronto sul futuro declinato in questi termini. Dopo Auschwitz e Hiroshima, la teologia sa che il futuro deve essere pensato in termini di speranza, come offerta di senso per chi si confronta con la morte prematura e la sofferenza ingiusta, per le esistenze spezzate dagli uomini e dalle donne, per le comunità cui la violenza ha sottratto la propria storia, per i viventi privati del loro essere. A essi si manifesta l’orizzonte salvifico di un Dio che sarà tutto in tutti, pienezza di Misericordia (1 Cor 15,28); a essi egli si fa vicino, donando consolazione (Is 40,1), eliminando la morte e tergendo le lacrime di chi piange (Is 25,6), saziando chi ha fame e sete della giustizia (Mt 5,6).

IL VOLTO DI DIO NEL MONDO

Il primo riferimento – la scala dei tempi più corretta – per una teologia che parla del futuro, sarà la nostra storia di uomini sulla Terra, segnata da dolore e dalla violenza, dalla violenza e dalla ricerca di comunione, dall’ingiustizia e dai problemi legati alla crisi ecologica. Ben prima che la cosmologia terminale, essa dovrà confrontarsi con la negatività che toglie speranza a tanta parte dell’esistenza di umanità, ad una biosfera violata da uno sviluppo privo di criteri. Qui allora interesserà cogliere non gli ultimi momenti del cosmo, ma il volto di Dio come prospettiva di senso per questo mondo, per queste vite, per queste storie.

LA SEPARAZIONE CON IL DISCORSO SCIENTIFICO

Quindi anche un concetto come la parousia non può essere semplicemente pensata come culmine dell’evoluzione, né la vita eterna donata in Gesù Cristo come mero prolungamento dell’umana capacità di controllo del Cosmo. La prospettiva della teologia è segnata da una ineludibile “riserva escatologica” nei confronti di ogni orizzonte significato che voglia porsi come definitivo: Dio certo è il futuro dell’uomo, ma quel futuro assoluto che eccede e supera ogni umano progettare.

Per questo, alla speranza cristiana, non è dato di tradursi immediatamente in sintesi filosofica o in principio di evoluzione delle dinamiche cosmologiche. L’escatologico, infatti, è il novum di Dio, che viene senza farsi precedere da tracce accessibili agli strumenti delle scienze fisiche o alla cosmologia quantistica. Il discorso scientifico sul futuro non è opposto alla promessa di Dio, ma semplicemente altro da essa.

LA SALVEZZA DEL COSMO

Tale presa d’atto, però, non è puramente negativa, né rinuncia a pensare al significato della materia, quasi, abbandonando ad un mortale destino di non-essere. Anzi, è piuttosto un fiducioso riconoscimento del Creatore più grande, unico misterioso senso di un cosmo che esiste per la gloria del suo nome e che proprio per questo può da lui attendere Salvezza. Sono dimensioni paradossalmente unite nell’interrogazione di Dio a Giobbe (Gb 38, 4-9) (“dov ‘eri tu all’atto della Creazione”) che esprime un’eccedenza di senso del cosmo rispetto all’uomo da custodire, contro ogni sogno di onnipresenza antropica.

I DONI DELLA MISERICORDIA

Il prosieguo dello stesso discorso rivela, poi l’ampiezza della Misericordia di Dio, che dona vita in spazi inaccessibili all’uomo, che si rivela come vero fondamento di un universo di cui noi non potremo farci carico. Solo essa dona ad ogni vivente un’identità nuova, che compie quella originaria. E’ quanto ci pare di poter cogliere anche nella lezione ranheriana, tutto questo si realizza nel mistero, nella fiducia in Colui che sa condurre ognuno di noi all’eschaton, oltre la morte, per vie e modi a Lui noti.

L’ESCHATON

E’ la stessa fiducia che permette di accogliere anche la promessa di Colui che promette di fare della storia degli uomini il suo regno, oltre e al di là della morte di questo universo. E’ la stessa fiducia che consente di ascoltare la promessa di una presenza del suo spirito presso ogni vivente fino a portarlo a essere il modo nuovo nella terra senza morte e lacrime.

Tutto è salvato dall’eschaton anche se oggi appare destinato alla perdizione, tutto è accolto da Dio nella nuova creazione anche se oggi le scienza non ci mostrano la via verso di essa.

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