«In Congo siamo sull’orlo di un nuovo conflitto globale. Se, come sembra, il presidente Kabila non indirà le elezioni rinunciando al potere dopo due mandati, così come prevede la Costituzione, tutto il Paese precipiterà nella guerra civile». La voce, che non nasconde profonda preoccupazione, è quella di monsignor Donatien Bafuidinsoni, ausiliare di Kinshasa, incontrato a Roma a margine del seminario di studio organizzato dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, per vescovi di fresca nomina. «Dalla morte del dittatore Mobuto in poi, il Congo, che già aveva molti problemi, è precipitato in una spirale di violenza da cui non si è più ripreso. Si può dire che dal 1997 non c’è mai stata pace, ma l’aria che si respira al momento è davvero pesante».
Secondo la Costituzione, quello che scade a dicembre 2016, dovrebbe essere l’ultimo mandato di Kabila. Il Presidente, però, prende tempo, puntando a posporre le prossime elezioni a data da destinarsi o a sfidare la Costituzione e candidarsi per la terza volta: una strategia che per l’opposizione, specie per il primo rivale di Kabila, Etienne Tshisekedi, rischia di trasformare l’attuale presidenza in un mandato a vita. Nel frattempo, in tutto il Paese si moltiplicano incidenti e violenze. Le ultime notizie parlano di oltre 30 morti a seguito di scontri cominciati il 19 settembre a Kinshasa (data in cui la commissione elettorale avrebbe dovuto convocare le elezioni), mentre da altre regioni si moltiplicano voci di rivolte e caos.
«È ormai divenuto chiaro a tutti che Kabila vuole tenersi stretto il potere. La gente non ne può più anche perché quelli della sua cerchia e pochi altri facoltosi, negli ultimi anni hanno aumentato spaventosamente il loro patrimonio, mentre la stragrande maggioranza della popolazione, pur vivendo in un Paese ricchissimo di ogni ben di Dio, giace nella miseria. Se non si arriva alle elezioni, la guerra civile sarà inevitabile».
La Chiesa ha da tempo scelto di agire per evitare lo scontro finale e portare le fazioni attorno a un tavolo negoziale che riporti la calma e allenti le tensioni. Da mesi la Conferenza episcopale del Congo (Cenco) lavora per favorire un dialogo nazionale che includa tutti i gruppi politici e punta a sostenere il lavoro del tavolo negoziale presieduto dal togolese Edem Kodjo. «Noi dobbiamo essere presenti, aiutare questa giovane democrazia in grave difficoltà, non solo come Chiesa ma anche come figli di questo Paese. I vescovi hanno ripetutamente scritto lettere e documenti pubblici, chiedono da tempo che la costituzione venga rispettata. Dato che per mesi non si è mai giunti a un accordo, la Chiesa ha preso l’iniziativa e richiamato tutte le forze a sedersi attorno a un tavolo. Il grande problema, però, è che solo una parte dell’opposizione prende parte ai colloqui, l’Udps, il G7 e altri partiti lo rifiutano, aspettano che prima Kabila si dimetta e lui non fa nulla per attrarli. Il dialogo, quindi, con tutti gli sforzi dalla Chiesa e la società civile, non decolla. Noi, attraverso il segretario della Cenco, siamo parte integrante del tavolo e chiediamo gesti incoraggianti: la scelta di una data precisa per il voto, la rinuncia a ricandidarsi di Kabila, lo sblocco dei fondi destinati alle elezioni, la liberazione di prigionieri appartenenti all’opposizione».
Le richieste, però, per il momento cadono in gran parte nel vuoto. La Cenco, infatti, con un gesto provocatorio che mira a suscitare una vera reazione politica, e in segno di lutto per le recenti morti, il 21 settembre ha scelto di uscire dal tavolo negoziale. «Ma solo temporaneamente – spiega Bafuidinsoni – La speranza è che tra i politici prevalga l’interesse del Paese. Siamo sicuri che tutti si rendano conto del punto a cui siamo arrivati. Di recente è stato annunciato che Kabila sarà a Roma per incontrare il Papa. Il mio auspicio è che in quell’occasione dichiari definitivamente di voler rispettare la Costituzione, di non pensare a una propria ricandidatura».
In seguito all’uccisione del padre Laurent-Désiré Kabila, presidente del Congo dal 1997 al 2001, è salito al potere il figlio Joseph e ha indetto per il 2006 le elezioni che rimasero libere solo nelle intenzioni. Fu eletto per i successivi 5 anni ma quando si giunse alle nuove elezioni, nel novembre 2011, svoltesi in un clima di grande tensione e con enormi ombre sulla loro regolarità, si aprì una crisi profonda che ha creato lacerazioni drammatiche. In quella tornata elettorale, infatti, fu chiaro a tutti che Joseph Kabila aveva ottenuto il nuovo mandato per mezzo di evidenti brogli. Le opposizioni, che chiedevano di tornare alle urne, hanno dato vita a manifestazioni in molte città del Paese, a partire dalla capitale Kinshasa fortemente contraria al presidente.