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Parolin: “Guerre e interessi nazionali alimentano la crisi dei rifugiati”

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Vatican Insider - pubblicato il 22/09/16
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«Le guerre come la Siria e la Libia, che hanno aumentato la crisi dei profughi e rifugiati, non trovano soluzione perché ci sono in gioco troppi interessi divergenti, a partire da quelli di Russia e Stati Uniti». Il Segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin va alla radice del problema, parlando delle emergenze che stanno generando instabilità globale. Quindi il cardinale, in questi giorni a New York per partecipare all’Assemblea Generale dell’Onu, aggiunge: «L’Italia ha perfettamente ragione a chiedere che l’Europa faccia di più per la questione dei migranti». 

La prima visita che Papa Francesco fece dopo la sua elezione fu a Lampedusa. Sono passati tre anni: perché la crisi dei migranti è ancora irrisolta?  

«È irrisolta, e a giudicare da quello che si sente qui all’Onu lo resterà per molti anni. È un fenomeno che avrà una durata piuttosto lunga, non è pensabile che si risolva da sé. Questo è il valore del vertice tenuto al Palazzo di Vetro sui migranti, perché la comunità internazionale ha preso coscienza della necessità di un intervento serio e organizzato». 

Il premier italiano Renzi si è lamentato del fatto che l’Europa non fa abbastanza per affrontare questa crisi. Ha ragione?  

«L’Italia ha perfettamente ragione. Ha questa politica di apertura e accoglienza, dobbiamo riconoscerle la volontà di aprire le porte alle persone in condizioni di grave necessità, ma si tratta di un fenomeno che non può essere gestito da un solo Paese. Anche qui abbiamo sentito diversi inviti a non lasciare soli gli Stati interessati in maniera più massiccia e diretta dal fenomeno. Uno dei punti che la Santa Sede ha ribadito più volte è stato proprio che l’approccio deve essere comune. Solo attraverso politiche elaborate e applicate insieme si può tentare di dare una risposta valida. Il problema è sempre la volontà politica. La strada è abbastanza chiara: una soluzione comune, concordata, che tenga conto delle necessità di chi emigra, e guardi ai Paesi di origine per affrontare le cause di fondo. Poi però bisogna farlo». 

Una delle cause di fondo più gravi sono le guerre, in Siria e Libia. Come si possono fermare?  

«Questo è il grande problema di oggi. Profughi e rifugiati sono aumentati considerevolmente a causa dei conflitti, basti pensare alla Siria e alla Libia. Si sta tentando di trovare soluzioni, ma è difficile individuarle, soprattutto quando ci sono in gioco interessi divergenti. Si può e si deve fare di più». 

Si riferisce a Russia e Stati Uniti?  

«Evidentemente sì. Poi ci sono vari livelli, internazionale, regionale, locale, che creano un miscuglio di interessi. Bisogna riuscire a stabilizzare questi Paesi e rilanciarli, anche attraverso uno sviluppo economico che consenta di risolvere alla radice il problema delle migrazioni generate dal bisogno». 

Questo vale anche per la Libia?  

«Certo. Nessun Paese è in grado di uscire da situazioni simili da solo, serve la solidarietà internazionale».  

Negli Stati Uniti è in corso la campagna elettorale e un candidato, Donald Trump, vuole costruire un muro lungo il confine col Messico per fermare i migranti. E’ una soluzione plausibile?  

«Noi siamo convinti che la politica dei muri non risolve i problemi. Anzi, li aumenta. L’appello del Papa è sempre quello di costruire ponti. Certo, può essere una soluzione più difficile, che esige un maggior coinvolgimento di tutti, però è anche la sola vincente. La politica dell’incontro, dell’integrazione e della solidarietà». 

Un aspetto spesso dimenticato è che le vittime di queste violenze sono in molte occasioni i cristiani. Perché vengono presi di mira e cosa serve per sollecitare la comunità internazionale a proteggerli?  

«Bisogna riuscire a vivere rispettandosi e accettandosi vicendevolmente. Purtroppo oggi stiamo assistendo alla rinascita degli estremismi e dei radicalismi. Il radicalismo si caratterizza proprio per la chiusura verso chi non è dei nostri e non la pensa come noi. Per affrontare e risolvere questo problema bisogna fare un grande lavoro, a cominciare dall’educazione delle nuove generazioni, affinché abbiano un atteggiamento di rispetto. Uso la parola rispetto perché si è discusso anche oggi all’Onu della tolleranza, dicendo che non è il termine giusto da adottare. Ci vuole invece il rispetto reciproco, per cui ognuno è accettato per quello che è, e insieme si può costruire qualcosa di buono e di migliore».  

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