Il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi sull’esercizio del primato e della sinodalità nella Chiesa va avanti adagio, ma non si ferma. La sessione di lavoro della Commissione mista di dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, svoltasi a Chieti dal 15 settembre a ieri sera, si è conclusa con l’approvazione unanime del documento intitolato «Sinodalità e primato nel Primo Millennio: verso una comune comprensione a servizio dell’unità della Chiesa», e focalizzato sull’esercizio del primato e della sinodalità nella Chiesa prima del grande scisma d’Oriente. Un risultato accolto con un applauso liberatorio dai membri della Commissione, dopo che la precedente sessione svoltasi ad Amman nel settembre 2014 era andata a vuoto, per le obiezioni poste da molti rappresentanti ortodossi a una bozza di lavoro non troppo dissimile da quella approvata ieri. Solo la delegazione della Chiesa ortodossa di Georgia – riferisce il comunicato diffuso alla fine dei lavori – ha espresso il suo disaccordo su alcuni passaggi del «documento di Chieti». Un dissenso che sarà richiamato in una nota del testo, quando esso verrà pubblicato.
Il documento approvato nella sessione di Chieti, ospitata dall’arcidiocesi guidata dal vescovo-teologo Bruno Forte, rappresenta un ulteriore testo di lavoro, che procede lungo le linee direttrici tracciate nel primo documento congiunto cattolico-ortodossa sulla questione del primato, approvato a Ravenna nel 2007. E la novità è rappresentata proprio dal consenso di fatto unanime ottenuto dal nuovo testo.
Il documento di Ravenna del 2007 conteneva una definizione condivisa del principio del primato, insieme alla constatazione che nei primi secoli cristiani, sia pur con accezioni e sfumature diverse tra Chiese d’Oriente e Chiesa d’Occidente, il vescovo di Roma era da tutti riconosciuto come primus, in quanto titolare della Prima Sedes, la Chiesa di Roma. Ma a Ravenna, nel 2007, i rappresentanti del Patriarcato di Mosca avevano platealmente abbandonato la sessione prima che i lavori entrassero nel vivo, e la Chiesa ortodossa russa non aveva mai riconosciuto nessun valore a quel documento.
Il documento sottoscritto a Chieti non ha ovviamente il profilo di pronunciamento vincolante. Ma la sua approvazione all’unanimità rappresenta comunque un segnale positivo, e non scontato, viste le incognite che pesavano sulla buona riuscita dei lavori, legate in buona parte alle nuove turbolenze registrate in seno all’Ortodossia.
A favorire il buon esito dell’incontro ha concorso proprio l’atteggiamento collaborativo e non dialettico mostrato stavolta dai rappresentanti della delegazione russa. Il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, capo della delegazione russa, già nella riunione preliminare di coordinamento tenuta a Chieti con gli altri rappresentanti ortodossi, aveva insistito sulla necessità di sollevare nel corso dei lavori il problema dell’uniatismo (quello relativo alle Chiese orientali cattoliche profilatesi in età moderna per iniziativa di vescovi ed episcopati regionali ortodossi che sceglievano di riallacciare la piena comunione con la Chiesa di Roma, mantenendo le proprie tradizioni teologiche e liturgiche): Hilarion aveva ribadito che «le azioni dei greco-cattolici in Ucraina e la loro retorica aggressiva contro la Chiesa ortodossa confermano che l’uniatismo rimane una ferita aperta nel corpo della cristianità, e il principale ostacolo nel dialogo tra ortodossi e cattolici». Ma l’istanza di Hilarion non ha avuto ricadute sull’andamento dei lavori.
Essa è stata percepita come un «atto dovuto», effettuato per marcare la posizione del Patriarcato di Mosca rispetto ai problemi anche intra-ortodossi che il Patriarcato di Mosca si trova a affrontare in Ucraina. Del resto, la Commissione teologica cattolico-ortodossa aveva già affrontato il tema dell’uniatismo negli anni Novanta. Proprio su quella questione – ritornata incandescente dopo la fine dell’impero sovietico in Ucraina e in altri Paesi est-europei – il documento predisposto dalla Commissione teologica mista a Balamand nel 1993 aveva ribadito il «diritto all’esistenza» e alla continuità delle Chiese orientali cattoliche sorte da quei processi, e nel contempo aveva riconosciuto che il metodo di costruire l’unità tra le due Chiese attraverso le unioni parziali è oggi superato, in quanto ferisce la carità che dovrebbe animare le relazioni tra le «Chiese sorelle».
A pesare come incognita sull’andamento dei lavori di Chieti c’era anche il cambio della guardia «generazionale» alla testa della delegazione ortodossa. Stavolta, il co-presidente ortodosso della Commissione mista non era più il Metropolita 85enne Ioannis Zizioulas di Pergamo, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. L’anziano Ioannis, considerato da molti il più grande teologo cristiano vivente, ha lasciato la carica al Metropolita 41enne Iob Getcha di Telmessios, anche lui del Patriarcato ecumenico. Ioannis, negli ultimi anni, aveva dato un contributo decisivo nel tracciare le linee teologiche su cui far avanzare il dialogo su sinodalità e primato. Ma forse proprio la sua autorevolezza teologica suscitava disagi e dissimulate ostilità in qualche rappresentante delle altre Chiese ortodosse. Il suo giovane successore, di origini ucraine, dopo qualche iniziale resistenza da parte di qualche delegato ortodosso – riferita da blog legati ad ambienti ortodossi greci – è stato apprezzato da tutti per il modo discreto con cui ha esercitato la sua co-presidenza.
La generale condiscendenza manifestata dalla delegazione ortodossa può essere letta anche come un effetto collaterale dell’esercizio di dialogo sinodale sperimentato di recente dalle Chiese ortodosse nel recente Concilio panortodosso celebrato a Creta. A quell’assise hanno fatto mancare la loro presenza il Patriarcato di Mosca, quello di Antiochia e quello georgiano e quello bulgaro. Proprio il documento sui rapporti con l’insieme del mondo cristiano è stato quello che ha registrato discussioni più accese, al punto che il testo approvato ha evitato di pronunciarsi in maniera dettagliata sulla stessa natura ecclesiale delle altre Chiese. Ma con tutti i limiti, l’esercizio sinodale vissuto ab intra tra le Chiese ortodosse può aver favorito anche un atteggiamento di apertura e disponibilità sul terreno del dialogo con le Chiese non ortodosse, a partire da quella cattolica.
In seno alle singole Chiese ortodosse, pezzi di episcopato e gruppi organizzati antiecumenici – quelli che Zizioulas ha chiamato «Talebani del’Ortodossia» – accusano i loro Patriarchi e metropoliti di «servilismo» nei confronti della Chiesa di Roma. che nella loro propaganda rimane la «Meretrice di Babilonia». Anche per questo conviene evitare l’ottimismo melenso e il pessimismo disfattista, quando si tratta di giudicare gli stop forzati, i dietrofront e le ripartenze di slancio nel cammino intrapreso da cattolici e ortodossi per superare le divisioni incallite nei secoli e ripristinare la piena unità sacramentale. I testi approvati dalla Commissione mista di dialogo teologico rimangono documenti di lavoro, e assumeranno valore normativo solo se e quando saranno riconosciuti e approvati dal Papa e dai Sinodi delle Chiese ortodosse. Nel contempo, la lentezza del cammino non è argomento sufficiente per sostenere la fatale inutilità del dialogo teologico intorno al Primato. Il ritmo è quello dell’avanti adagio, in un cammino che comunque rimane aperto. Nella consapevolezza ormai acquisita che nessuno seguirà le avanguardie ecumeniche operanti nell’Ortodossia, se il ritorno alla comunione con il Vescovo di Roma verrà concepito e percepito come un «andare a Canossa».