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Una nuova comunità dei domenicani tra i profughi di Mosul

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Vatican Insider - pubblicato il 21/09/16
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Per secoli sono stati uno dei volti più significativi della presenza cristiana a Mosul. Fino all’estate del 2014, quando la conquista da parte dell’Isis ha costretto anche i domenicani ad abbandonare la grande città del nord dell’Iraq. Poi – nella primavera scorsa – era arrivato l’ulteriore sfregio: le immagini della loro chiesa fatta saltare in aria con la dinamite dagli uomini del sedicente Califfato, con l’intenzione di cancellarne persino la memoria.  

Ma quell’atto di violenza non è stato l’ultima parola; nonostante le sofferenze di questi due anni, infatti, c’è una nuova comunità dei domenicani che sta nascendo proprio in questi giorni nel nord dell’Iraq. Succede nel Kurdistan, ad Ankawa, il quartiere di Erbil dove vive la maggior parte dei cristiani fuggiti da Mosul. A darne notizia è il sito dell’Oeuvre d’Orient, storico organismo francese al servizio delle Chiese del Medio Oriente, che ha intervistato padre Youssef Majid, il religioso originario di Baghdad a cui l’ordine ha dato il compito di far partire questa nuova presenza. 

«Sto iniziando una nuova missione – racconta nell’intervista al sito francese padre Youssef -. Per adesso insegno nella facoltà di teologia, ma ci apprestiamo a fondare una nuova comunità. Saremo quattro frati, vivremo insieme alla gente: saremo là per insegnare, per predicare, guidare ritiri, preparare i fidanzati al matrimonio, assicurare la Messa quotidiana. Vogliamo stare con le famiglie e con i poveri, per annunciare la tenerezza e la misericordia di Dio». 

Padre Majid viene dalla comunità domenicana di Baghdad, dove era tornato nel 2010 dopo gli studi teologici a Lille e in Canada. Nella comunità latina della capitale irachena era il vicario per la pastorale giovanile (ha accompagnato anche un gruppo di 200 giovani iracheni alla Gmg di Cracovia). Ora – spiega – ad Ankawa è chiamato «a ricominciare la nostra missione, con entusiasmo». 

È un segno importante per l’ordine fondato da san Domenico, che ha radici molto antiche in questa regione ed è storicamente il volto più conosciuto della comunità di rito latino dell’Iraq. I primi domenicani arrivarono già all’epoca delle Crociate, nel XIII secolo, stabilendo il loro convento proprio a Mosul. Fu una presenza che durò poco: nel 1291 – con la sconfitta dei crociati – l’intera comunità subì il martirio. Cinque secoli dopo, però, papa Benedetto XIV volle ricominciare quella storia: nel 1750 inviò di nuovo i domenicani a Mosul e da allora vi erano sempre rimasti. Un’altra loro comunità poi era cresciuta a Qaraqosh, sempre nella Piana di Ninive, anche questa spazzata via nell’estate 2014 dall’assalto dell’Isis. 

Ora la rinascita ad Ankawa che – specifica padre Majid – è pensata nel segno di quell’unità tra confessioni e riti che la sofferenza di questi anni ha alimentato. Ed è una rinascita che giunge proprio nelle settimane in cui in Iraq si discute molto sull’annunciata campagna per la liberazione di Mosul e sui reali spazi per un pluralismo religioso autentico nel dopo-Isis. Proprio il futuro della Piana di Ninive sarà uno dei temi al centro del Sinodo della Chiesa caldea che si aprirà domani a Erbil. Un Sinodo preceduto nei giorni scorsi dall’ordinazione di due nuovi sacerdoti, uno dei quali – Marti Baani, 26 anni – è anche lui un esule della Piana di Ninive. «Segno di speranza in questo tempo di crisi», lo ha definito il patriarca caldeo Luis Raphael Sako.  

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