Un «like» su Facebook può costare la prigione e perfino la vita. In Pakistan il sedicenne cristiano Nabeel Masih è finito nelle maglie della controversa legge di blasfemia, coinvolto e denunciato da alcuni coetanei che lo accusano di aver condiviso una foto considerata dispregiativa della «Khana-e-Kaaba», l’edificio al centro della moschea della Mecca, luogo sacro all’Islam.
L’incidente è avvenuto in un villaggio nei pressi di Bhai Pheru, nel distretto di Kasur, nella provincia del Punjab. Gli accusatori hanno invocato l’art. 295a del Codice di Procedura penale, che punisce il vilipendio all’islam. Nabeel è stato arrestato.
Come riferito a Vatican Insider dall’avvocatessa cristiana Aneeqa Maria Anthony, a capo della Ong «The Voice», che si è subito recata sul luogo, i cristiani del distretto temono ora una di quelle rappresaglie di massa che hanno caratterizzato casi di presunta blasfemia in passato. Nel villaggio vivono circa 30 famiglie cristiane che potrebbero essere facilmente bersaglio di una «punizione collettiva».
Secondo la polizia locale, spiega l’avvocatessa Anthony, «è stato necessario registrare una denuncia contro Nabeel proprio per evitare esplosioni di giustizia sommaria e per tutelare la vita del giovane». L’attenzione dalla polizia resta alta nella zona.
Nabeel è orfano di madre e suo padre, umile operaio, porta avanti una famiglia di sei figli. «Sono persone che non hanno i mezzi per ottenere alcun aiuto legale», nota Anthony. Secondo familiari e conoscenti, Nabeel «è un ragazzo intelligente e ragionevole, che non vorrebbe mai ferire i sentimenti altrui. Si tratta certo di un brutto tiro che gli hanno giocato dei coetanei».
In Pakistan è l’ennesimo caso di «blasfemia digitale»: sono infatti aumento le denunce di blasfemia che registrano il presunto vilipendio all’islam commesso sul web o sui social network. Tra i casi recenti, il cristiano James Nadeem è stato arrestato per un messaggio blasfemo mandato via WhatsApp nel distretto di Gujrat, sempre nel Punjab pakistano. In un altro caso, il cristiano Usman Masih è stato accusato di blasfemia con l’accusa di aver inviato un messaggio offensivo sul messenger del social network Facebook.
Il vescovo cattolico Samson Shukardin, alla guida della diocesi di Hyderabad, è anche uno stimato avvocato e in passato ha difeso dei casi in tribunale, impegnandosi nella Commissione «Giustizia e pace»: «Sono casi molto delicati ed è davvero difficile ottenere giustizia», conferma a Vatican Insider.
«Il copione è lo stesso: un credente accusato, e l’accusa è sempre da dimostrare, ma poi è la comunità intera a rischiare una punizione collettiva», ha spiegato all’agenzia vaticana Fides don Emmanuel Parvez che, nella diocesi di Faisalabad, in Punjab, cerca di prevenire questi incidenti.
A preoccupare è soprattutto l’abuso della legge di blasfemia, tirata in ballo in modo pretestuoso spesso per risolvere controversie private che nulla hanno a che fare con la religione.
Dopo le pressioni delle Chiese e di numerose organizzazioni della società civile, le istituzioni pakistane hanno deciso ora di esaminare il nodo dell’uso improprio della legge di blasfemia. Nelle scorse settimane, infatti, la Commissione per i diritti umani del Senato del Pakistan ha annunciato di voler avviare una serie di incontri per discutere la questione con esperti legali, studiosi di religione e di altri organi competenti, come il Consiglio dell’ideologia islamica.
La Commissione ha specificato che non intende chiedere modifiche alla legge, ma garantire l’equa attuazione della legge, dato che troppe persone innocenti, cittadini pakistani di tutte le religioni, hanno sofferto a causa del suo uso improprio
Tra i casi più noti, quello di Asia Bibi, donna cristiana condanna a morte che nel prossimo mese di ottobre vedrà il suo caso esaminato e discusso davanti alla Corte Suprema del Pakistan, terzo e ultimo grado di giudizio.
Il Pakistan – dove tra 200 milioni di musulmani vivono circa 4 milioni di cristiani e altrettanti indù – ha una delle leggi più dure, tra i paesi a maggioranza islamica, contro la blasfemia, che include una vasta gamma di azioni o commenti che possono essere interpretati come «diffamazione dell’islam».
La legge, introdotta nel 1986 dal dittatore Mohammad Zia-ul-Haq senza alcun passaggio parlamentare, prevede l’ergastolo o la pena di morte.
Secondo dati della Commissione «Giustizia e pace» dei vescovi del Pakistan, 200 cristiani, 633 musulmani, 494 ahmadi e 21 indù (oltre 1300 casi in tutto) sono stati denunciati per blasfemia dal 1987 al 2013. Nel 2014 le denunce registrate sono state 1400, mentre negli ultimi 30 anni 70 accusati di blasfemia sono stati vittime di esecuzioni extragiudiziali.