Chi uccide in nome di Dio, come dice papa Francesco, compie «una blasfemia, un atto satanico», e per questo le religioni devono fare un passo avanti, rispetto ai progressi già realizzati, e condannare insieme ogni estremismo che porti al rifiuto degli altri: è l’analisi del cardinale John Onaiyekan, arcivescovo nigeriano di Abuja, intervenuto al vertice interreligioso «Sete di pace» di Assisi.
Il Porporato è intervenuto a una tavola rotonda intitolato «Il terrorismo nega Dio», alla «Cittadella», partendo dalla considerazione che l’Isis e il nigeriano Boko Haram, due gruppi religiosi che si rifanno esplicitamente al jihadismo, «negano Dio», secondo la stessa «mainstream» dell’islam, e, «come dice papa Francesco, compiono una blasfemia, un atto satanico». Non una novità assoluta, ha proseguito Onayekan, se si considera che «la storia umana è piena di pagine buie delle guerre di religione», rispetto alla quale le fedi «stanno facendo progressi»: ora, però, «dobbiamo andare avanti, le fedi devono promuovere la pace, non basta condannare le violenze giustificate con argomenti religiosi, è necessario anche respingere ogni estremismo che porti a rifiutare gli altri esseri umani». A questo proposito, il Cardinale africano ha suggerito che serve «molta cautela» sull’uso del concetto di terrorismo: «Cosa accade se il giorno dopo gli orribili attentati in Europa come replica viene bombardata la Siria, viene bombardata Aleppo, e i danni collaterali vengono considerati normali? La vendetta è disastrosa, ed è contro i principi cristiani», ha detto l’Arcivescovo di Abuja. Le religioni, dunque, devono compiere uno sforzo ulteriore e «liberare le religioni da quanti le tengono in ostaggio». In questo senso, ha concluso Onaiyekan, può evolvere anche l’incontro organizzato ad Assisi dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla diocesi locale e dai Frati francescani, a trent’anni dal primo incontro voluto da Giovanni Paolo II nel 1986: «Trent’anni fa siamo venuti insieme ad Assisi per pregare per la pace, ora possiamo dire che siamo venuti ad Assisi per pregare insieme per la pace».
Al panel sul terrorismo l’accento è stato posto da diversi interventi sulle ingiustizie che possono essere all’origine del fenomeno terrorista e al fenomeno del «terrorismo di Stato»: «La guerra non è mai giusta», ha detto la statunitense Jody Williams, premio Nobel per la pace nel 1997, «la guerra, anche se si ammanta di motivazioni religiose, è questione di persone che cercano potere, o più potere, e può produrre un terrore di Stato. Quando penso al terrorismo la prima cosa che mi viene in mente non sono gli orribili attentati dell’11 settembre. Personalmente, mi terrorizzano gli armamenti nucleari che tengono in ostaggio l’umanità, mi terrorizza il fatto che ci sono poche persone ricchissime che hanno in mano i destini di tante persone povere, mi terrorizza un’economia globale da rapina», ha detto la militante pacifista in un discorso molto critico nei confronti della responsabilità del proprio paese sugli equilibri politici mondiali, gli Stati Uniti, e molto applaudito dal pubblico. «Cosa direbbe oggi san Francesco? Penso che non la prenderebbe bene, certo non la prendo bene io».
La tavola rotonda è stata guidata da Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, che ha raccontato un aneddoto personale di quando era ragazzo: il 2 agosto del 1980 era in Italia e solo per un caso non è passato da Bologna, dove una bomba faceva strage. La religione, ha detto il rappresentante protestante, non è legata alla religione, ma è un fatto che oggi ci sono persone che si ispirano alla religione per compiere atti violenti, e che la religione porta alcune persone ad azioni violente. Nel suo caso personale, il terrorismo che ha sfiorato a Bologna ha cambiato in un altro senso la sua vita, perché dopo quel giorno si è posto in modo diverso che fare da adulto, decidendo a quel punto di dedicarsi alla religione e alla pace tra gli uomini.
Molte le voci intervenute alla tavola rotonda. La premio Nobel per la pace 2011, la yemenita Tawakkoi Karman, ha detto che il terrorismo non è figlio della religione, ma «della dittatura,della povertà, dell’ignoranza e della mancanza di riforma nelle religioni, del silenzio della comunità internazionale di fronte alle ingiustizie»: «Un criminale è un criminale, punto, non è che poiché in Italia c’è la mafia diciamo che il cristianesimo è la religione della mafia», ha detto la donna impegnata a favore della «primavera araba» del suo paese repressa dalle autorità yemenite.
Sono intervenuti, ancora, Faisal Bin Muammar, segretario generale dell’associazione Kaiciid dell’Arabia Saudita, l’indiano Sudheendra Kulkarni, che ha ampiamente citato l’esempio di Ghandi, in parallelo con san Francesco e papa Francesco, l’islamico Al-Haj Murad Ebrahim, capo negoziatore nel processo di pace per Mindanao nelle Filippine, e il cardinale Orlando Beltran Quevedo, sempre filippino, che ha sottolineato la necessità di interpretare correttamente la religione islamica, per togliere agli estremisti pretesti per le iniziative violente, ed ha concluso sottolineando che le donne e gli uomini di fede devono impegnarsi insieme per dare risposta alla «sete di pace nonché alla sete di giustizia». Dal pubblico, molto applaudito l’intervento di una ragazza centrafricana che, prima di proporre di coinvolgere in questi incontri anche rappresentanti dei gruppi terroristi («Dobbiamo chiedere alla comunità di Sant’Egidio se ci hanno provato», ha commentato il Cardinale nigeriano), ha chiesto una conferenza analoga sul problema degli armamenti, «perché nel mio paese non ci sono industrie di armi, non ci sono neppure industrie di vestiti figuriamoci di armi, eppure ci sono molte armi e vengono uccise molte persone».