«Padre Jacques appartiene alla stirpe dei martiri. Egli è beato dice papa Francesco. Ma non è ancora stato beatificato. Ricevo delle lettere che lo chiedono, alcuni mi incitano a richiedere la dispensa dai cinque anni. Io chiedo la grazia che il riconoscimento del martirio non sia una bandiera innalzata per combattere e condannare; ma la gioia di rendere grazie per il dono di un prete che ha donato la sua vita come il Cristo. Infine domando la grazia di un dialogo nella verità con i miei amici musulmani». E’ quanto ha detto oggi pomeriggio monsignor Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen, durante la giornata d’apertura dell’incontro: «Sete di pace, religioni di cultura in dialogo», ricordando padre Jacques Hamel, assassinato lo scorso 26 luglio. Il meeting è stato organizzato ad Assisi dalla Comunità di Sant’Egidio in occasione del 30esimo anniversario del primo incontro interreligioso del 1986 con Giovanni Paolo II.
L’assemblea inaugurale si è svolta al Teatro Lyrick di Assisi, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Fra i presenti e gli intervenuti lo storico Andrea Riccardi, Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, il sociologo Zygmunt Bauman, il presidente della Repubblica Centrafricana Faustin-Archange Touadera, i vescovi di Assisi e Rieti, Domenico Sorrentino e Domenico Pompili, il rabbino Avrahm Steinberg, Mohammad Sammak, consigliere del Gran Muftì del Libano, Baleka Mbete Presidente dell’assemblea nazionale della Repubblica del Sudafrica.
Il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, fra le varie cose, ha voluto rievocare l’intuizione di Wojtyla nel convocare il primo incontro fra le grandi religioni nel 1986: «In realtà proprio in quegli anni – ha spiegato – le religioni andavano assumendo un ruolo pubblico e nelle relazioni tra i popoli». «Giovanni Paolo II – ha detto ancora Riccardi – aveva intuito che andavano ancorate alla pace e liberate dalla tentazione di rassegnarsi alla guerra o di giustificarla. Si recuperavano, in un solo gesto, le speranze e gli sforzi pionieristici di quelli che hanno sognato e visto da lontano quello che stava accadendo. La novità di Assisi 1986 si vide dalle reazioni indispettite degli zelanti cristiani e di altre religioni. Non si rinunciava all’originalità irrepetibile della propria identità?».
Secondo il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, che è stato in questi anni uno dei protagonisti del dialogo ecumenico e di quello fra le fedi, «riuscire ad ottenere il dialogo e la pace richiede un capovolgimento totale di ciò che è diventata la norma per il mondo. Richiede una trasformazione nei valori che sono profondamente radicati nel nostro cuore e nella società. La trasformazione in senso spirituale è la nostra unica speranza di rompere il ciclo di violenza ed ingiustizia, poiché la guerra e la pace sono, fondamentalmente ed in ultima analisi, scelte umane». «Ciò significa – ha aggiunto – che costruire la pace è una questione di scelta individuale ed istituzionale, oltre che di cambiamento individuale ed istituzionale».
Significativo, poi, l’intervento del libanese Sammak, che ha messo in luce come sia un compito prioritario dei musulmani affrontare il problema dell’estremismo islamico: «l’Islam – ha affermato – non è cambiato. Il testo coranico è costante e gli Hadith (le parole del Profeta) sono chiari. Non è cambiato né prima né dopo l’incontro di San Francesco con Al-Kamel in Egitto. Ciò che è cambiato è che un gruppo di estremisti vendicativi e disperati ha dirottato l’Islam e lo sta usando come strumento di vendetta. Sono diventati un nuovo movimento totalitario, ma stavolta in nome della religione». Per questo è particolarmente urgente che siano gli stessi musulmani a «liberare la nostra religione da questo ‘dirottamento’ e riorganizzare l’Islam al suo interno, in allineamento con i principi spirituali dell’Islam e con i principi generali che costituiscono le fondamenta della civiltà umana nel ventunesimo secolo». «Anche per questa ragione – ha aggiunto – affrontare il tema dell’estremismo religioso è un dovere innanzitutto dei musulmani. L’Islam crede nel pluralismo e considera la diversità tra gli uomini un’espressione del volere divino che le persone siano differenti tra loro. Questo è il motivo per cui Dio li ha chiamati a conoscersi l’un l’altro». Sammak, ha ricordato anche alcuni dei rapiti scomparsi in Siria: «Conosciamo – ha detto – la sorte del gesuita italiano Padre Paolo Dall’Oglio, che ha dedicato la sua vita per servire i musulmani e i cristiani in Siria. E conosciamo la sorte del vescovo Yohanna Ibrahim, di cui sentiamo la mancanza oggi».
Un contributo importante è poi venuto da Baleka Mbete, presidente dell’Assemblea nazionale della Repubblica del Sudafrica, che ha tratteggiato il cammino arduo del suo Paese per uscire da un sistema di oppressione e provare a costruire fra mille difficoltà, una nazionale «arcobaleno». «La nostra Lunga marcia per la libertà – ha detto – ha dovuto affrontare l’apartheid e la sua eredità come sistema coloniale attraverso un programma di trasformazione per decolonizzare la nostra società». «Questo programma di decolonizzazione – ha aggiunto – ha dovuto rivolgersi alla struttura di base della nostra società che era fondata sulla discriminazione e sull’oppressione razziale, ai nostri cuori a cui era stato insegnato a odiare, alle nostre menti che avevano subito un lavaggio del cervello ed erano state avvelenate». «Dove centinaia di anni di dominio coloniale avevano creato divisioni basate sulla razza, tribù ostili le une alle altre, e messo ogni sudafricano contro l’altro – ha spiegato ancora Baleka Mbete – abbiamo dovuto costruire una nazione che è unita nelle sue diversità. Abbiamo dovuto vedere noi stessi come una nazione, una nazione arcobaleno».
«Questa nuova nazione – ha spiegato ancora – è ancora in formazione mentre sto parlando. È costruita sul riconoscimento che a tutte le nostre undici lingue è attribuita pari dignità e questo è protetto dalla nostra Costituzione. Noi non solo parliamo molte lingue, ma siamo una nazione molteplice anche in termini di fedi religiose». «Sì, l’unità di una nazione – ha affermato la rappresentante del Sudafrica – si costruisce sulla ricchezza delle sue lingue e delle sue culture. Ma le devastazioni della povertà, la disuguaglianza e la disperazione possono minacciare la sopravvivenza, per non parlare del futuro, di una tale nazione».
Infine Zygmunt Bauman, ha messo in luce tre importanti contributi di papa Francesco alla possibile integrazione fra i popoli: Al primo posto c’è la necessità di dare vita alla cultura del dialogo «per ricostruire la tessitura della società. Imparare a rispettare lo straniero, il migrante, persone che vale la pena ascoltare. La guerra si sconfigge – ha detto – solo se diamo ai nostri figli una cultura capace di creare strategie per la vita, per l’inclusione». Quindi, ha rilevato il sociologo, papa Francesco parla «dell’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro che non rappresentano una pura carità, ma un obbligo morale». In terzo luogo, ha osservato Bauman,– «Papa Francesco dice che questo dialogo deve essere al centro dell’educazione nelle nostre scuole, per dare strumenti per risolvere conflitti in maniera diversa da come siamo abituati a fare». «L’acquisizione della cultura del dialogo – ha concluso – il modo di procedere non è una via facile, una scorciatoia. L’educazione è un processo di tempi lunghissimi, che necessita di pazienza, coerenza, pianificazione a lungo termine. Si tratta di una rivoluzione culturale rispetto al mondo in cui si invecchia e si muore prima ancora di crescere». Parole di solidarietà sono poi state rivolte da diversi oratori alle popolazioni colpite dal recente sisma che ha devastato il centro Italia.