«Il fenomeno del traffico degli esseri umani è estremamente complesso. È difficile tracciarne i limiti e, soprattutto, è gestito da un esercito quasi imbattibile. Se non ci mettiamo in rete, non abbiamo alcuna possibilità». Con queste parole, di ritorno da Abuja, Suor Gabriella Bottani, comboniana, coordinatrice di Talitha Kum, rete internazionale di vita consacrata contro il fenomeno della tratta, esprime il suo grande apprezzamento per i risultati raggiunti dalla Conferenza One Human Family, One Voice, No Human Trafficking promossa da Caritas Internationalis e Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti. L’incontro, svoltosi tra il 5 e il 7 settembre scorsi nella capitale della Nigeria, ha raccolto organizzazioni di ispirazione cristiana da oltre 40 Paesi di tutto il mondo, rappresentanti di organismi internazionali ed esperti, per riflettere attorno al tema ‘Human Trafficking within and from Africa’.
La riduzione in schiavitù – un ‘crimine contro l’umanità’ secondo la definizione di Papa Francesco e di rappresentanti di altre fedi (Cerimonia per la firma della dichiarazione contro la schiavitù dei leader religiosi, 2 dicembre 2014) – coinvolge 21 milioni di persone al mondo (49% donne, 18% uomini, 21% ragazze minorenni, 12% ragazzi minorenni): tre esseri umani ogni mille (fonti: ILO, International Labour Organization e UNODC United Nations Office on Drugs and Crime). Secondo organizzazioni non governative come Walk Free, invece, sarebbero molte di più: almeno 48 milioni.
Il business degli esseri umani è uno dei mercati più fiorenti sul pianeta. Frutta ai gestori oltre 150 miliardi di dollari l’anno e ‘impiega’ 14,2 milioni di individui (68%) in settori come agricoltura, edilizia, lavori domestici o manifatturieri, 4,5 milioni (22%) nell’industria del sesso, e 2,2 milioni (10%), in lavori forzati all’interno di strutture statuali (prigioni, esercito etc.).
Uno dei continenti più toccati dal fenomeno, è l’Africa. Dei 21 milioni di schiavi moderni, circa 4 vengono da qui e sono impiegati al suo interno o in altre aree. Il continente, poi, viene utilizzato per il transito forzato di molti altri esseri umani di provenienze e destinazioni varie. Una situazione allarmante che spinge da anni la Chiesa a interrogarsi, promuovere maggiore consapevolezza e cercare, d’accordo con organismi ufficiali, misure adeguate per affrontarla.
«Il bilancio di questa Conferenza è molto positivo – riprende Suor Gabriella -, ha offerto la possibilità a tante realtà di conoscersi e tessere relazioni fondamentali nel contrasto alla tratta. Noi religiose abbiamo iniziato a porre il problema ormai molti anni fa ed è incoraggiante vedere come nella Chiesa universale si stia diffondendo una consapevolezza di questo fenomeno e il desiderio di contrastarlo in ogni sua forma». Nata come associazione di religiose a cavallo tra i due millenni, Talitha Kum è ora attiva in 70 Paesi sparsi nei 5 continenti, e può contare su 17 reti affiliate di cui, di recente, hanno cominciato a far parte laici e congregazioni maschili. «Il nostro scopo è fare rete e promuovere progetti che puntino alla prevenzione, alla formazione e alla protezione: molte congregazioni hanno case di accoglienza o ‘gruppi di strada’ che avvicinano donne avviate alla prostituzione. Negli ultimi anni ci siamo specializzate in un grosso lavoro di advocacy con i governi: uno dei migliori risultati raggiunti è stato l’accordo con il governo nigeriano che ha riconosciuto ufficialmente il nostro ruolo in quel Paese».
Tantissimi gli interventi e i contributi succedutisi nella fitta tre-giorni. Tra i più significativi, quello del Presidente di Caritas Internationalis, il cardinale Tagle che ha chiamato i cristiani a essere ‘la coscienza delle società’, dell’arcivescovo Anokye presidente di Caritas Africa e di rappresentanti di enti transnazionali. Molto significativa la dichiarazione finale che, dopo aver denunciato il fenomeno e il rischio che risulti invisibile al mondo (“per ogni vittima intercettata ce ne sono 100 o più che non lo sono”), aver riconosciuto che riguarda ogni cultura e che necessita quindi di un dialogo interreligioso e interculturale, pone le basi per un serie di impegni molto concreti: favorire un approccio olistico e basato sul rispetto dei diritti, educare i propri fedeli e formare leader religiosi o rappresentanti delle varie comunità riguardo il fenomeno, utilizzare al meglio i media e suscitare sempre maggiore consapevolezza lavorando sempre più in rete. Forte anche l’appello rivolto ai governi a rivedere le politiche migratorie e a implementare le convenzioni internazionali.
La Conferenza, a cui hanno preso parte rappresentanti di altre fedi e confessioni cristiane, è stata anche l’occasione per scattare una fotografia aggiornata del fenomeno e diffondere maggiore consapevolezza riguardo le sue caratteristiche. Esistono, ad esempio, forme sempre più subdole e rinnovate di sfruttamento. Tra queste, il traffico di esseri umani nell’industria marittima i cui lavoratori vivono su imbarcazioni per lunghi periodi dell’anno, lontani da qualsivoglia forma di protezione e tutela. O quello legato a pratiche religiose o tradizionali, o a forme di lavoro domestico: vere e proprie schiavitù che in molti contesti non sono considerate un crimine. Vi sono poi il commercio di organi, lo sfruttamento di migranti forzati nei tratti dei viaggi verso l’occidente o quello in situazioni di conflitto dove anche bambini sono costretti a lavorare o imbracciare armi. «È un fenomeno spaventoso – osserva Suor Gabriella – che ha registrato dalla fine degli anni ’90 una costante ascesa spiegabile solo con l’aumento della globalizzazione e del neoliberismo economico e la diffusione di una visione di mercificazione della vita. Noi ci affidiamo all’ILO e diciamo ‘21 milioni’, ma siamo certi che la cifra andrebbe aggiornata. Nelle piantagioni estensive di molti Paesi africani così come nelle miniere d’oro in Ghana, o di Coltan nel Kivu, solo per fare degli esempi, sappiamo che molti individui sono ridotti in schiavitù mentre tanti altri scompaiono e non se ne sa più nulla…»
Poi ci sono le schiavitù africane di casa nostra, Rosarno, i caporalati di Foggia e di tante parti d’Italia e Europa, l’induzione alla prostituzione. Un drago dalle mille teste che incute terrore. «Ma che può essere affrontato – conclude Suor Gabriella – con coraggio, a mani nude, se quelle mani sono unite».