Per l’Unione Europea hanno ragione le strutture di proprietà delle diocesi e degli ordini religiosi a non aver pagato tra il 2008 e il 2012di Emanuele Bonini
La Chiesa non deve restituire alla Stato il mancato versamento dell’Ici, l’imposta sugli immobili diventata Imu nel 2012, perché chi ha contestato il regime di esenzione «non è giunto a dimostrare» le distorsioni del mercato e di conseguenza l’incompatibilità con le regole dell’Unione europea. Lo ha stabilito il Tribunale dell’Ue, nella motivazione con cui ha respinto i ricorsi per presunti aiuti di Stato illegali creati con le agevolazioni fiscali del governo italiano agli enti ecclesiastici.
Ha ragione dunque la Chiesa a non aver pagato tra il 2008 e il 2012, e non sarà tenuta a farlo adesso secondo l’organismo di giustizia di Lussemburgo. Ci sarà ricorso alla Corte, ma intanto non entreranno all’Erario tra i quattro e i cinque miliardi di euro, secondo stime dell’Anci, e si apre un contenzioso tutto a dodici stelle: il pronunciamento di oggi smentisce la Commissione europea, che invece aveva riconosciuto la violazione delle regole e la natura illecita delle scelte italiane.
Il caso
La questione risale al 2006, quando venne contestato per la prima volta il regime di esenzione dell’Imu concesso alle strutture legate al mondo cattolico. Agevolazioni dalla natura distorsiva della concorrenza, secondo la scuola elementare Maria Montessori di Roma e il titolare di un Bed&Breakfast di San Cesareo, i primi a sollevare obiezioni. La loro battaglia legale ha visto poi l’interessamento e la cura di Maurizio Turco (allora deputato del Partito radicale) e del fiscalista Carlo Pontesilli. In due occasioni sono stati chiesti lumi alla Commissione europea, allora guidata da Josè Manule Barroso.
In entrambi i casi – nel 2006 e nel 2008 – il responso fu sempre lo stesso: non sembravano esserci infrazioni, nonostante i chiarimenti chiesti nel frattempo alle autorità italiane. La produzione di nuovi incartamenti convinse alla fine la Commissione Barroso che si era in presenza di aiuti di Stato incompatibili con le regole Ue, e dunque illegali. Era il 2012, e in quell’anno l’Ici divenne Imu, la legge era cambiata e dunque si chiese di intervenire per il periodo relativo al 2008-2012, durante il quale cliniche, alberghi, scuole e altre attività commerciali legate alla Chiesa non avevano versato un centesimo forti dell’esenzione. Ma i soldi non vennero recuperati, e ci si rivolse al Tribunale che oggi ha riscritto la storia della vicenda. Che adesso finirà alla Corte di giustizia, dato che i ricorrenti presenteranno ricorso.
Il pasticcio italiano ed europeo
La decisione di esentare il Vaticano dalla tassa sui beni immobili fu una scelta politica. Condivisibile o meno, come tutte le scelte politiche. Il problema dell’Italia fu però di altra natura: nel fornire le spiegazioni richieste ammise di non riuscire ad avere le informazioni necessarie per, pur volendo, procedere all’imposizione della tassa. Nella sua decisione del 12 dicembre 2012 la Commissione europea riconosce che le autorità nazionali «hanno dimostrato che i beneficiari dell’aiuto in questione non possono essere identificati e che l’aiuto non può essere oggettivamente calcolato a causa della mancanza di dati disponibili». In particolare allora l’esecutivo comunitario prendeva atto che le banche dati fiscali e catastali «non consentono di individuare gli immobili appartenenti ad enti non commerciali, che sono stati destinati ad attività non esclusivamente commerciali del tipo indicato nelle disposizioni sull’esenzione dall’Ici».
Di conseguenza le stesse banche dati «non consentono di ottenere le informazioni necessarie per calcolare l’importo dell’imposta da recuperare». In sintesi, secondo la Commissione Barroso «l’Italia ha illegittimamente attuato l’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, ma alla luce delle circostanze eccezionali invocate dall’Italia, non deve essere disposto il recupero dell’aiuto, avendo l’Italia dimostrato l’impossibilità assoluta di darvi esecuzione». Solo che il Tribunale dell’Ue, respingendo i ricorsi con le motivazioni addotte («il ricorrente non è giunto a dimostrare» l’illecito) va contro l’interpretazione dell’esecutivo comunitario. All’incapacità del governo italiano di fornire informazioni tramite banche dati si aggiunge quindi il Tribunale di Lussemburgo che smonta l’impianto di Bruxelles.