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Kazakistan, un beato per una Chiesa dimenticata

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Vatican Insider - pubblicato il 15/09/16
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«La beatificazione di Bukowinski è un riconoscimento per la Chiesa in Asia centrale, per molti aspetti periferica, negletta. E’ il segno che esistiamo. Il prete polacco, missionario negli anni del comunismo, ha dato la vita per il Vangelo: con lui ci siamo tutti noi oggi»: così Luca Baino, frate francescano italiano e missionario da otto anni in Kazakistan, racconta a Vatican Insider l’entusiasmo che vive la comunità cattolica dopo la storica celebrazione, tenutasi domenica 11 settembre nella città di Karaganda, in cui la Santa Sede ha elevato alla gloria degli altari Wladyslaw Bukowinski. 

La cerimonia di beatificazione è stata presieduta dal cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, che così ha ricordato il nuovo beato: «Fu accusato, imprigionato e inviato più volte ai lavori forzati, trascorse più di 13 anni in campi di lavoro. In un tempo di persecuzioni religiose fatte di sofferenze fisiche e morali, don Bukowinski trovava il suo porto sicuro in una fede in Dio profonda, solida, incrollabile. Il lager divenne il pulpito da cui educava all’amore di Dio e alla riconciliazione con il prossimo: anche nell’esperienza più umiliante non dimenticò mai la sua missione».  

Bukowinski ha vissuto nei lager sovietici in centro Asia, parte della rete di 476 campi divenuti tristemente famosi con il nome di «gulag». A partire dal 1923 i bolscevichi vi deportarono i nemici del comunismo: aristocratici, preti, borghesi, contadini, operai, intellettuali, funzionari, artisti, quadri del Partito caduti in disgrazia, dissidenti, oppositori politici. 

«Quanto ha sofferto quest’uomo!», ha esclamato Papa Francesco all’Angelus dell’11 settembre esaltandone la figura. «La sua testimonianza – ha osservato Bergoglio – appare come un condensato delle opere di misericordia spirituali e corporali». 

Bukowinski, parroco a Luck – allora territorio polacco, oggi ucraino – fu arrestato una prima volta dalla polizia segreta nell’agosto 1940 e condannato ai lavori forzati. Scampò alla morte fortunosamente e, con l’arrivo dei tedeschi, poté riprendere a operare nella cattedrale. Fu arrestato per la seconda volta nel gennaio 1945, insieme al vescovo di Luck e ad altri sacerdoti.  

Nel 1946 venne condannato a dieci anni di lavori forzati nelle miniere di Karaganda, ma gli vennero ridotti di cinque mesi per buona condotta. Per i seguenti vent’anni svolse il suo ministero a Karaganda, dove morì il 3 dicembre 1974.  

Gli archivi che raccontano l’universo concentrazionario sovietico, aperti e resi disponibili dalla Russia post-comunista e indagati da studiosi di tutto il mondo, raccontano alcuni passaggi della sua esperienza nei gulag. Un giorno fu colto sul fatto: «Cosa fai?», gli chiese un solerte funzionario. «Sto pregando». «Ma è proibito». «In futuro pregherò in modo che lei non se ne accorga». «La Provvidenza agisce talvolta anche attraverso gli atei, che mi hanno mandato là dove serviva un prete», raccontava. 

Oggi Bukowinski, con altri personaggi come il vescovo Aleksandr Khyra e altri sacerdoti come Alexey Zarytskyi, Nikolay Shaban e Stepan Pryshliak, tutti prigionieri nei gulag, sono i «padri spirituali» della Chiesa in Kazakhstan. La comunità cattolica nel paese centroasiatico è nata, infatti, «come frutto delle purghe staliniane, testimonianza di come da un male possa nasce un bene e di come Dio faccia germogliare la fede anche nel deserto dell’ateismo e della repressione», nota Baino. 

In particolare Bukowinski, tra le migliaia di polacchi finiti nei lager sovietici, scelse di restare per sempre in Asia Centrale, anche dopo la liberazione, fino alla morte, «lasciando tra i cattolici della Siberia e del Kazakistan la memoria di una fede che sposta le montagne e di una paternità inesauribile».  

Secondo Baino, la sua figura aiuta oggi la comunità cattolica in Kazakistan – nazione con 17 milioni e mezzo di abitanti al 70% a musulmani, per il 25% cristiani (in larghissima parte russi ortodossi, con i cattolici pari all’1,15%) e al 5% buddisti – anche nei delicati rapporti con le istituzioni e con la società. Laddove «spesso il Papa è un perfetto sconosciuto e quando si parla di un prete cattolico la prima associazione di idee è la pedofilia», osserva il missionario, segno di come sia solo l’informazione scandalistica sulla Chiesa a filtrare a livello locale.  

I cattolici nella nazione sono un gruppo eterogeneo (ucraini, polacchi, tedeschi del Volga) di circa 185mila fedeli. I rapporti tra lo stato kazako e la Chiesa cattolica, rinata dopo l’era sovietica, sono regolati da un concordato entrato in vigore alla fine del 1999. La recente l’istituzione di un Ministero per gli affari religiosi e civili, decretata dal Presidente kazako Nursultan Nazarbayev nei giorni scorsi, potrebbe essere un segnale positivo: il nuovo dicastero avrà il compito di curare le relazioni con le comunità religiose e garantire ai cittadini libertà di coscienza. 

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