Se sinora una coppia di ortodossi russi residenti in una città italiana, in assenza di un ministro della loro Chiesa, chiedevano ad un prete cattolico di celebrare il loro matrimonio, la risposta era dubbiosa, se non negativa, ora, invece, il vescovo locale può autorizzare un suo sacerdote a celebrare il rito. Un sacerdote cattolico può anche battezzare senza esitazione il figlio della coppia. Se non era chiaro a quale Chiesa iscrivere il figlio di un uomo protestante e di una donna cattolico-maronita, ora è chiaro che il bambino va iscritto a quest’ultima Chiesa. Sono alcuni esempi che discendono dalle nuove disposizioni contenute nella lettera apostolica «De concordia inter Codices» in forma di Motu Proprio, pubblicata oggi, con la quale Papa Francesco ha corretto alcune norme canoniche.
Il provvedimento, in particolare, firmato lo scorso 31 maggio, colma alcune lacune emerse nel Codice di diritto canonico del 1983, come spiega mons. Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, con l’arrivo, in Europa e in altre regioni occidentali, di un alto numero di migranti dai paesi dell’ex blocco sovietico, dopo la caduta del Muro di Berlino, e dal Medio Oriente, con l’aggravarsi della crisi politica della regione. « In quegli inizi degli anni Ottanta – ha spiegato in un articolo diffuso dalla sala stampa della Santa Sede, e pubblicato nel pomeriggio dall’Osservatore Romano, mons. Arrieta – non s’intravedeva ancora la forte accelerazione che il processo migratorio avrebbe subito nei decenni successivi, interessando molti Paesi di tradizione canonica latina». Tale processo ha fatto emergere un po’ dappertutto, nella quotidiana attività pastorale, i problemi di disparità disciplinare tra il Codice di diritto Canonico e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali del 1990, «e la necessità di metterli in concordanza per dare sicurezza e semplificare l’attività dei Pastori».
Le questioni emerse, più specificamente, sono relative a problemi concreti che fedeli cattolici orientali, incontrano nella loro vita di fede in paesi a maggioranza cattolica latina, e riguardano temi come il matrimonio, il battesimo dei figli, o la partecipazione dei ministri latini alle celebrazione dei sacramenti di fedeli ortodossi, sia nel caso dei battesimi che dei matrimoni. La soluzione adottata, sostanzialmente, frutto di un lavoro portato avanti già da diversi anni, è stata quella di copiare dal codice delle Chiese Orientali – che, successivo di qualche anno al Codice di Diritto Canonico già prevedeva una serie di disposizioni «ecumeniche» – le disposizioni relative a questi nodi, armonizzando i due codici ed eliminando quei divieti, o quelle incertezze, relativi all’amministrazione di questi sacramenti. «Dalla lettura del motu proprio», conclude mons. Arrieta, «balza subito agli occhi come la motivazione di queste riforme risponda alla volontà di agevolare la cura pastorale dei fedeli soprattutto nei cosiddetti “luoghi della diaspora” dove vivono, in ambienti a maggioranza latina, migliaia di fedeli orientali che hanno lasciato la loro terra di origine».
Il Papa, infine, lo stesso 31 maggio ha dato la sua approvazione alla pubblicazione di una «risposta autentica» concernente un’altra questione, sempre relativa ad una discrepanza tra codici, ossia non cattolici che, ad esempio, dopo la conversione al cattolicesimo, vogliono farsi sacerdoti, avendo però commesso, prima delle conversione, alcune irregolarità. Le «irregolarità per ricevere l’ordine sacro», diaconale, sacerdotale o episcopale, previste dal canone 1041, sono relative, spiega sempre mons. Arrieta, «a chi avesse commesso omicidio, o aborto, o avesse mutilato gravemente se stesso o un altro, o tentato il suicidio». In tal caso, in base alla formulazione canonica precedente, tutti, cattolici o non cattolici, possono porre in atto tali condotte, ma, con una «lettura solo formale del canone», «chi non fosse stato cattolico al momento di porre in essere tali condotte», «non sarebbe incorso nell’irregolarità» canonica. Nella sostanza, però, «sia i cattolici che i non cattolici sono ugualmente tenuti al rispetto della vita propria ed altrui», per cui il pontificio consiglio per i Testi legislativi ha proposto al Papa di modificare il Codice di Diritto Canonico (mutuando la norma dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali), per prevedere che la «irregolarità» (e la relativa, eventuale, sanatoria) valga anche per i non cattolici. Si tratta, ha precisato ad ogni modo mons. Arrieta, di «pochi casi», «ora comunque in sensibile aumento» a causa, in particolare, degli ex ortodossi divenuti cattolici, in forza della costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus di Benedetto XVI per gli anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa cattolica.
Cattolici orientali immigrati in Occidente, il Papa modifica il codice canonico
Vatican Insider - pubblicato il 15/09/16
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