La donna napoletana aveva vinto anche una causa contro motori di ricerca e social. La Chiesa ammonisce da tempo sulle difficoltà della “salvezza” digitaleTiziana Cantone si è suicidata a soli 33 anni, impiccata con un foulard nello scantinato della sua nuova casa di Mugnano, in provincia di Napoli. Il corpo è stato trovato dalla zia. Si chiude nel modo più drammatico possibile una vicenda che per mesi era rimbalzata sui social: girando prima fra una cerchia ristretta di utilizzatori di WhatsApp, per poi approdare alla “ribalta” più ampia di Facebook e Twitter (Corriere del Mezzogiorno, 14 settembre).
On line erano finiti (a sua insaputa) filmini piccanti girati per un gioco hard in un parcheggio pubblico insieme ad un suo coetaneo.
CAMBIO NOME E TENTATO SUICIDIO
Nei mesi successivi alla vicenda Tiziana aveva persino lasciato Napoli, rifugiandosi in Toscana con la speranza di poter trovare un minimo di serenità e riprendere in mano le redini della sua vita dopo gli insulti ricevuti sui social; le era anche stato accordato l’iter per il cambio del nome. Ma il dolore che portava dentro era troppo grande. Aveva già tentato di togliersi la vita con i barbiturici, ma venne salvata in extremis dalla mamma.
LA CAUSA CONTRO IL WEB
Non più tardi di qualche giorno fa il suo nome è tornato agli onori della cronaca, stavolta per una sentenza che avrebbe potuto garantirle, finalmente, il diritto all’oblio. L’avvocato della ragazza Roberta Foglia Manzillo aveva infatti citato in giudizio Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google e Youtube e le persone coinvolte nella diffusione dei video, ottenendo un provvedimento d’urgenza atto a rimuovere dal web qualsiasi pagina che facesse riferimento a Tiziana e a quelle immagini: in caso di inadempienza una multa fino a 10mila euro al giorno per i motori di ricerca e il social (Il Mattino, 14 settembre).
Intanto la Procura del Tribunale di Napoli nord ha aperto anche un fascicolo per istigazione al suicidio contro ignoti.
“AUTORITY PRIVA DI EFFICACIA”
La Chiesa da tempo ha affrontato il tema della salvezza digitale da due prospettive: il contesto attuale, con poche regole, e con cui fare i conti; e dall’altro la necessità di rivedere la legislazione sul diritto all’oblio. «La rete è utile ed efficace ma il prezzo che paghiamo in privacy è alto», tanto che l’Autorità per la privacy «è priva di efficacia», affermava profeticamente il segretario della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), monsignor Nunzio Galantino (Aleteia, 6 novembre 2014)
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LA “SALVEZZA” DIGITALE
Nel suo saggio CyberTeologia padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica e tra i maggiori influencer cattolici sui social media, scrive: «Salvare qualcosa nel mondo digitale significa salvarla dall’oblio, dalla dimenticanza, dalla cancellazione. Salvare in senso teologico significa salvarla dalla dannazione, dalla condanna. Il salvataggio digitale è esattamente l’opposto della cancellazione. Se è un file è salvato, tutto, anche gli errori, restano fissati, non dimenticati».
La salvezza digitale «cancella l’oblio, appunto. E oggi la rete è diventata il luogo in cui l’oblio è impossibile, il luogo in cui le nostre tracce restano potenzialmente incancellabili. Se ci volessimo reinventare una nuova vita, le tracce del nostro passato sarebbero sempre lì, alla portata del vicino di casa».
LA PORNOSTAR E IL CASO “RAPPORTIVE”
Spadaro cita un caso emblematico: «Per essere più chiari se una persona una vita dissoluta e dedita all’edizione pornografica decidesse di cambiare vita radicalmente, sa che in rete le sue immagini saranno sempre li a ricordare potenzialmente ciò che era e che dunque nel mondo virtuale sempre è e resterà. La salvezza digitale, cioè il salvataggio, della pornostar coincide paradossalmente con l’impossibilità del suo “perdono”. Ma questo è solo un caso estremo».
IL PERDONO DELLE TRACCE ON LINE
Un’applicazione pratica, proseguiva il gesuita, «è rappresentata ad esempio dalla tecnologia Rapportive sugli indirizzi di posta gmail. E’ costituita da un plug in grazie al quale, aprendo una qualsiasi mail, appaiono automaticamente informazioni “pescate” in rete riguardanti la persona che l’ha inviata: la sua immagine, le informazioni personali che riguardano il suo lavoro e addirittura su quali social è presente. Dunque, come scriveva J. Rose su “Internazionale” 17-23 settembre 2010 p.43, “davanti alle difficoltà di vivere in un mondo senza perdono, dovremmo (…) trovare nuovi modi di perdonare le tracce digitali che ci porteremo dietro sempre”».
L’ALTERITA’ DI DIO
La realtà è amara: «Oggi più che mai – evidenziava Spadaro – si comprende meglio come il perdono non coincida affatto con l’oblio, e che il perdono autentico è un intervento che trascende la mia storia e che fuoriesce dal sistema delle mie possibilità, essendo fondato sull’alterità di Dio. Nel mondo in cui “il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 51,5) e tutto è digitalmente salvato, come risulterà pensabile la salvezza religiosa?».
“LEGISLAZIONE DINAMICA”
Se da un lato bisogna fare i conti con l’assenza di regole, dall’altro bisogna incentivarle. In un’intervista a Radio Vaticana (28 gennaio 2015), Spadaro evidenziò che va necessariamente ri-compreso il concetto di privacy «in un contesto in evoluzione». «ll mondo della Rete è un mondo in evoluzione che pone sempre di più nuove sfide, quindi anche la legislazione deve essere dinamica, cioè non può ancorarsi concetti del passato o a forme che ormai sono obsolete».
LO STUPRO SU WHATSAPP
La tragedia di Tiziana, d’altro canto, non è un caso isolato. Arriva poche ore dopo un’altra drammatica vicenda accaduta a Rimini. Una ragazza è stata filmata dalle sue compagne mentre lei, ubriaca tanto da non ricordare poi nulla, veniva stuprata da un ragazzo nel bagno di una discoteca. Non solo nessuna è intervenuta per fermare la violenza, si legge su La Repubblica Bologna (14 settembre), ma quel video è stato condiviso su Whatsapp, diventando virale e distruggendo l’esistenza di una giovane di 17 anni. Un doppio, terribile tradimento. Anche su questa vicenda indaga la magistratura.
“DIRITTO AL RIPENSAMENTO”
Lo psichiatra Tonino Cantelmi su Agensir (14 settembre) è durissimo: «Qualcuno dovrà pure dire stop alla dittatura di Google, di Facebook e dei vari social – attacca – ai quali consegniamo la nostra immagine e la nostra reputazione on line. Lo so, la questione investirebbe norme, diritti, giurisprudenza e tanti azzeccagarbugli cavillosi sarebbero lì, pronti a difendere la sovrana libertà del web di disporre di noi. Ma il dato è questo: vogliamo avere il diritto di gestire la nostra reputazione digitale. Vogliamo avere il diritto di ripensamento sui contenuti che diffondiamo».