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Le distanze annullate

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Vatican Insider - pubblicato il 13/09/16
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Con la relazione di padre Marko Ivan Rupnik, teologo, artista, direttore del Centro Aletti di Roma, si è aperta il 12 settembre a San Giovanni Rotondo presso l’Auditorium “Maria Pyle” della Chiesa di “San Pio” la IV Settimana Internazionale della Riconciliazione, un tempo di formazione e riflessione per presbiteri sul tema del sacramento della Confessione. Al sacerdote gesuita il compito di presentare l’orizzonte di senso nel quale poter comprendere il valore del sacramento. 

Imbattersi nel pensiero di Rupnik è sempre un’esperienza che interpella, suscita interesse e anche una sana inquietudine, e richiede un’opera di ruminazione per portare frutto. Alcuni punti fermi della sua riflessione sono notoriamente la purificazione della mente, nel senso della memoria del cuore, intesa come opera della grazia divina mediata da un’esperienza di perdono, di vita nuova che il cristiano ha ricevuto con il battesimo, e dunque una solida dottrina trinitaria che declina la qualità dell’essere in Cristo di chi è stato redento. Si tratta infatti di un dire, come quello dei Padri della Chiesa, in cui la riflessione è imbevuta di Parola di Dio, e di una proposta che con parresia evangelica e disarmante naturalezza mette in crisi il modo comune di pensare, assorbito ai dettami di una cultura individualista che ragiona secondo i principi dell’autoaffermazione di sé, denotando l’impronta ricevuta dal peccato. E infatti padre Rupnik esordisce con un tuffo nella teologia fondamentale, ma al modo patristico, specificando fin da subito che «l’uomo creato è differente dall’uomo redento». Affermazione decisiva anche in chiave culturale: «Se la nostra cultura misura tutto a partire dall’uomo creato, qual è la novità di Cristo?».  

Padre Marco spiega che l’uomo creato si percepisce come individuo mentre l’uomo redento si scopre come relazione, e indica come questa comprensione nella chiesa sia scaturita da un lungo confronto tra i padri che «hanno impiegato circa tre secoli per mostrare che l’essere con cui esiste il nostro Dio non è individuale ma relazionale». Per far meglio comprendere Rupnik offre diverse esemplificazioni a partire dai termini “padre”, “madre”, “figlio”, “figlia”, “marito”, “moglie” che «s’interpretano ed esistono solo a partire da una prospettiva relazionale». Quindi introduce alcune frasi più tecniche ma alquanto chiarificatrici: la «persona è ipostasi relazionale», vale a dire «ha una vita che si esprime nella natura che possiede», cioè quella «della koinonia, della comunione che dona lo Spirito Santo». Tuttavia il peccato tende a strappare via quest’esperienza di comunione, come a più riprese ha detto anche Papa Francesco, perché, insiste padre Marco «il peccato, togliendo la vita che viene da Dio, ha reso l’uomo individuo, cioè soggetto alla sua natura ferita, e quindi votato alla ricerca di un perfezionamento secondo questa natura». Detto in altri termini si tratta della logica del «conquistare tutto da sé», l’opposto di un’esperienza cristiana che invece assume la logica e lo stile «dell’accoglienza del dono».  

Accogliere «l’abisso tra individuo e persona – spiega il teologo – significa comprendere che nessuno può acquistare da solo la vita di Dio. Essa si riceve con il battesimo, dove muore la vita individuale e nasce quella personale», e poi aggiunge «al Cielo non si arriva da individui ma da figli». L’individualismo, e quindi l’autoaffermazione di sé e la ricerca di continue conquiste, anche come dinamiche interiori e spirituali, s’imbattono in due ostacoli insormontabili, «l’uomo per unirsi con Dio – suggerisce padre Marco – dovrebbe superare il peccato e la morte, ma ciò avviene nel battesimo, opera dello Spirito». Padre Marco cita frequentemente diversi passaggi delle lettere paoline, ricorda come Paolo definisca se stesso “misericordiato”, la distinzione fra uomo carnale e spirituale, e come l’Apostolo sveli i limiti delle “passioni del ragionamento” (dianoiein) (Ef 2,3) del tipo “io ce la farò da solo”, e poi richiamando il teologo Ioannis Zizioluas presenta la distinzione tra «“ipostasi biologica”, l’individuo e “ipostasi ecclesiale” cioè l’uomo che ha ricevuto la Vita e vive la comunione». Chi accoglie questo dono di Dio (cf. 1 Gv 5,12; Gv 1,4) percepisce che c’è un modo diverso di esistere. Non si vive più la vita di prima che si ferma all’ingresso della chiesa, nel luogo del battistero. Questo perché, come ricorda padre Rupnik, «non si può edificare l’uomo nuovo sopra l’uomo vecchio». Un linguaggio forse a noi ostile ma non così all’inizio, padre Marco ricorda Giovanni Crisostomo che annota come “le donne al mercato di Costantinopoli discutessero sui temi della persona, ousia o sostanza”.  

Per riflettere sulla misericordia, padre Rupnik richiama padre Gregorio di Narek, teologo e mistico armeno, per definirla come «la distanza annullata e coperta dal Figlio». Ma quando si fa esperienza della misericordia? Per Padre Marco «quando sei stato morto e qualcuno ti ha tirato fuori, perché non dimenticherai più quel volto». Si tratta in primis della centralità della mediazione di Gesù che rende presente e operante la misericordia divina, e lo fa, spiega padre Marco, «identificandosi con Adamo peccatore, entrando così nella via del peccato. E dunque la passione del Figlio inizia prima, e trova il suo punto di approdo nella croce dove Gesù grida in nome di Adamo, per questo dice “Dio mio” e non “Padre” come di consueto». 

E allora la Confessione è da considerare come «la sorella del battesimo», «non una psicoterapia o una questione di counseling», ma «il luogo nel quale si scopre che possiamo vivere da figli ed essere reinseriti nella comunione ecclesiale del Figlio». Altrove padre Marco ha citato il suo padre spirituale Spidlik affermando che «la confessione è stata creata per confessarsi prima di peccare» suggerendo quel valore di terapia per cui la Chiesa accompagna i penitenti per un loro reinserimento ecclesiale.  

La presenza nei luoghi di San Pio richiamano una lettura del servizio all’altare del Santo indicato da Papa Francesco, insieme a San Leopoldo Mandic, come apostoli della Misericordia, «due confessori, che hanno fatto incontrare le persone con Dio, hanno provocato un’esperienza e attraverso di essa hanno guidato il penitente verso Cristo». E anche in San Pio il fatto che non fosse tenero in certi frangenti con quanti si accostavano al sacramento, è letto da padre Marco come «un aggravamento della distanza (con Dio) finalizzato alla riconciliazione», vale a dire «è necessario sentirsi prima inadeguati e peccatori, poiché non ci si salva da soli e non si può essere cristiani senza essere credenti. Non si può credere in Cristo senza aver bisogno di Cristo».  

Come leggere quindi le opere di misericordia? Per padre Marco esse sono «la possibilità di rivelare agli altri la vita che ho ricevuto». Aspetto che richiama la decisività della dimensione della mediazione che Rupnik vede «assolutamente legata alle scene della vita». E ricorda l’impronta indelebile ricevuta nell’educazione familiare e quanto egli stesso ha accolto dai dialoghi con i sacerdoti gesuiti per anni detenuti nelle carceri al tempo della dittatura comunista. Un passaggio che riporta all’esperienza cristiana delle origini in cui “di fede in fede”, e cioè dalla fede di Pietro, Giacomo e Giovanni ecc… si trasmetteva l’esperienza di Dio. Ma la relazione è ancor più profonda, si tratta infatti di riscoprire una comunione, frutto del battesimo, che ci fa incontrare «l’uno nell’altro», noi infatti «non vediamo quell’Altro che è Dio ma l’altro che è il fratello».  

Indicazioni finali per tutti i confessori: «Il confessore non sia consolatore ma mediatore dell’incontro tra Gesù e le persone. Contemplare il messia è la mia verità. Se c’è questo incontro si è incontrato Dio, perché solo Lui perdona i peccati. La confessione è un cammino per andare a fondo, per non giustificarmi, ma per consegnarmi nelle mani di Dio. Lui ci raccoglie e ci troviamo nelle sue braccia» (Si vedano i mosaici di Lazzaro).  

Spunti interessanti che ci aiutano ad entrare nel cuore della misericordia in questo tempo giubilare, che saranno accompagnati nei giorni successivi dagli interventi di altri relatori tra cui padre Enzo Bianchi, priore di Bose.  

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