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“Noi, consacrati laici davanti alle sfide dell’Africa”

Vatican Insider - pubblicato il 06/09/16

Tra il 21 e il 25 agosto scorsi si è tenuta a Roma l’Assemblea generale della Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari (CMIS). Ha raccolto i Responsabili generali membri della Conferenza e i Presidenti delle Conferenze nazionali e continentali: in tutto oltre 140 persone provenienti da oltre 25 Paesi, in rappresentanza di famiglie consacrate di Asia, Nord e Sud America, Africa ed Europa.  

Gli Istituti secolari, che si riuniscono in assemblea ogni 4 anni, sono una delle forme di vita consacrata della chiesa cattolica. Diversi dagli Istituti Religiosi nelle loro diverse configurazioni, gli Istituti Secolari hanno trovato la loro collocazione nella Chiesa molto più recentemente (nel 1947 attraverso la Provida Mater di Pio XII). Sono composti da membri laici che, dopo aver fatto voti di castità, povertà e obbedienza, scelgono di vivere nel mondo senza particolari segni di riconoscimento (nessuno indossa abiti particolari) proprio come le donne o gli uomini delle società in cui si stabiliscono (“Nel cuore del mondo col cuore di Dio”, Papa Francesco, 10 maggio 2014 ).  

Dopo una prima fase che ha visto presenze di questa particolare forma di vita consacrata precipuamente in Italia e in Europa, gli istituti secolari hanno varcato i confini, raggiungendo ogni angolo del mondo. Oggi ne esistono 240 sparsi nei 5 continenti, con 40.000 membri circa (donne – in gran parte – e uomini).  

Il tema centrale affrontato dall’assemblea di quest’anno, è stato la “formazione” dei membri inquadrata in un contesto sempre più globalizzato, a contatto con nuove culture. In questa cornice, grande rilievo è stato dato all’Africa, un continente dove comincia a essere significativa la presenza degli Istituti, che pone grandi sfide e presenta nuovi scenari.  

Ne parliamo con Maria Veronelli, delle Missionarie del Lavoro, che, proprio sull’Africa, ha svolto nel corso delle sessioni, una importante relazione…  

«Dopo anni di riflessione attorno al senso della nostra forma di vita consacrata in ambienti occidentali, ci troviamo di fronte a immense sfide che nuovi contesti ci pongono. Tra le maggiori, vi è l’Africa. Abbiamo varie esperienze in diversi Paesi e proprio da loro provengono sollecitazioni e nuove domande: sentiamo molto forte l’esigenza di entrare a fondo a contatto con le culture dei luoghi dove viviamo, comprendere meglio tanti temi come l’importanza dell’etnia, dei clan, le altre religioni, i problemi sociali. A noi interessa stare in mezzo alla gente, non solo per attirare a noi, ma per promuovere lo sviluppo dell’individuo, essere un seme piantato nel mezzo della comunità che vuole viverle accanto». 

L’Africa è un continente che con grande fatica prova a uscire da emergenze e conflitti. Tanti problemi, però, permangono…  

«L’Africa è una grande sfida. In alcuni dei Paesi in cui siamo presenti sono in atto guerre sanguinarie, in altri vi sono persecuzioni politiche, in molti ci sono povertà endemiche, discriminazioni, carestie o disastri naturali. Stiamo cercando la nostra via per essere testimonianza in questi contesti. Un concetto fondamentale per noi è la promozione umana, in particolare la promozione della donna. Diversi Istituti, lavorano per favorire un percorso di liberazione delle donne delle società in cui operano. Credo che da questo punto di vista noi possiamo giocare un ruolo importantissimo ed essere – parlo in particolare per gli Istituti femminili – donne in un percorso di liberazione che provano a liberare altre donne. Stiamo riflettendo molto su come promuovere l’immagine e il ruolo della donna nei vari contesti africani. Più in generale, in ambienti spesso lacerati come quelli africani, ci è sembrato fondamentale mettere alla base di ogni nostra presenza il senso e il valore della libertà, della verità, della giustizia, del perdono». 

Per quanto riguarda la diffusione di questa forma di vita consacrata in Africa, quali sono le maggiori difficoltà?  

«Innanzitutto vi sono i problemi concreti di cui parlavo prima: conflitti, dittature, povertà. Che significa, ad esempio, proporre il voto di povertà a persone già estremamente povere che dovranno continuare a vivere nei loro contesti, senza neanche un riconoscimento formale della loro vita consacrata? Abbiamo dibattuto a lungo sull’importanza che le persone incaricate della formazione in Africa cerchino di comprendere innanzitutto la cultura, di conoscere storia e realtà, di avvicinare le persone con rispetto e quindi di aiutarle a scoprire il loro modo di essere secolari consacrate: la parola chiave per noi è ‘accompagnare’ mai imporre. Ci sono problemi tipicamente culturali legati alla questione del celibato e la castità, il bisogno di maternità o paternità, la pressione della famiglia. È chiaro poi che la nostra forma di vita consacrata è ancora poco nota in Africa e abbiamo quindi pensato di iniziare da ora in poi uno sforzo per farci conoscere dalle chiese locali. Diciamo che la nostra è una storia che in Africa sta per iniziare. Paolo VI, nel 1972, parlando degli Istituti Secolari disse che rappresentavano ‘una forma di consacrazione nuova e originale, suggerita dallo Spirito Santo’. Lo Spirito più di recente, ci ha condotto in Africa, dove credo possiamo nella nostra umiltà giocare un ruolo importante». 

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