La svolta, nella conversione, corrisponde col giudizio sul proprio peccato. Quel giudizio di cui, prima o poi, tutti quanti abbiamo avuto paura. Pensiamo alla Cappella Sistina, all’immagine imponente del Cristo giudice. Non provoca – fosse anche inconsciamente – un sentimento di inquietudine? Non ci appare minaccioso il gesto della mano alzata, come a dire: “ora facciamo i conti, sapete quello che vi aspetta?”.
Eppure, in quel gesto, c’è un simbolo di efficacia straordinaria: solo comprendendo di doverci giudicare senza sconti, e che a causa del nostro peccato meritiamo la morte, tocchiamo la verità del nostro essere. E solo allora siamo pronti a recepire la libertà dello spirito, la guarigione da quelle che San Paolo, nel capitolo 5 della lettera ai Galati, chiama “le opere della carne”.
Soprattutto, solo allora scopriremo il segreto del Cristo giudice e della sua mano alzata. Gli studiosi hanno dedotto, dall’analisi dell’opera, che il braccio di Gesù è stato corretto ben due volte, portandolo più in alto. E questo perché fosse visibile il palmo della mano. Il motivo è evidente: in quel palmo c’è la piaga di Gesù, giustiziato sulla croce. Il Cristo del giudizio universale non sta minacciando un castigo, ma ci dice, con un gesto simbolico: “guarda quanto ti amo”.
Se sono io a giudicare i miei peccati, a condannarli senza appello, a ricordare che “il salario del peccato è la morte” (Romani 6,23), vale anche per me l’intuizione di Pascal, racchiusa in questo aneddoto:
“Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti dispereresti, dice Dio all’uomo. Allora mi dispererò, Signore. No, perché i tuoi peccati ti saranno rivelati nel momento in cui ti saranno perdonati”.
Il Cristo giudice, che punisce il peccato con la morte, è nello stesso tempo il Cristo morto per salvarci dal peccato. “Guarda quanto ti amo”: è questa la parola da ascoltare, sulla soglia dell’eternità. Solo così la paura del giudizio si trasforma in gioia.