Il Ministero degli esteri cinese esprime apprezzamento per le ultime dichiarazioni del cardinale Parolindi Gianni Valente
Quando la Cina e la Chiesa cattolica si avvicinano, non tutti la prendono bene. Per questo la lunga e sofferta storia dei rapporti tra la Cina e il Papato, già prima della Rivoluzione maoista, è costellata di false partenze e fallimenti, ma anche di sabotaggi orchestrati dall’esterno. Un fattore ricorrente nelle complesse vicende sino-vaticane, su cui ha riacceso i riflettori il cardinale Pietro Parolin, nella recente relazione magistrale da lui dedicata a Pordenone alla figura del cardinale Celso Costantini (1876-1958), apripista del dialogo vaticano con Pechino e primo Delegato apostolico in Cina dal 1922 al 1933.
In quel testo, pronunciato nella città friulana sabato scorso, l’attuale Segretario di Stato vaticano ha delineato con chiarezza i criteri pastorali e non mondani che guidano la Santa Sede nella nuova stagione di dialogo in atto con le autorità di Pechino: una “ripartenza” intrapresa guardando «al bene dei cattolici cinesi, al bene di tutto il popolo cinese e all’armonia dell’intera società, in favore della pace mondiale». A Pechino, le espressioni calibrate da Parolin hanno raccolto a stretto giro segnali di apprezzamento dalle autorità cinesi. Già ieri Hua Chunying, portavoce del ministero degli Esteri, interpellato nell’incontro quotidiano con la stampa sulle frasi di Parolin, ha confermato l’esistenza di «canali di comunicazione molto efficaci» con i Palazzi d’Oltretevere: «Conosciamo molto bene posizioni e preoccupazioni reciproche» ha aggiunto il portavoce cinese «e per questo speriamo di poter lavorare insieme per raggiungere ulteriori progressi nelle nostre relazioni. Penso sia una cosa buona per entrambe le parti».
Ai funzionari di Pechino non sfuggirà neanche il “filo rosso” seguito da Parolin nel delineare la figura di Costantini: il racconto dei tentativi pazienti e tenaci messi in campo dallo stesso Costantini per favorire la saldatura di rapporti diretti tra Santa Sede e autorità cinesi, e dei sistematici sabotaggi – quasi sempre riusciti – perpetrati dalle potenze occidentali per impedire al Papa di trattare con Pechino senza intermediari. Una traiettoria ripercorsa dal Segretario di Stato vaticano senza sbavature polemiche o complottismi, facendo parlare i documenti d’archivio e le ricerche storiche più qualificate.
L’arco storico ripercorso da Parolin è quello dei quasi due secoli in cui la politica imperialista e colonialista delle potenze occidentali – in primis Francia e Inghilterra – ha tenuto in ostaggio tra connivenze, pressioni e ricatti anche le relazioni tra la Santa Sede e il Celeste Impero, e l’intera attività apostolica e missionaria della Chiesa in Cina. Già dal 1720 e fino al 1810 – ha ricordato a Pordenone il più stretto collaboratore di Papa Francesco – era stata concessa a un Vice-Procuratore della Congregazione de Propaganda Fide di risiedere a Pechino per trattare con la Corte Imperiale gli interessi delle missioni cattoliche. Ma poi le politiche colonialiste di Francia e Inghilterra, culminate con le Guerre dell’Oppio, avevano posto la loro irrimediabile ipoteca sull’opera apostolica in territorio cinese. Nel Suo “discorso di Pordenone”, Parolin ha definito «nefasti» i cosiddetti “Trattati ineguali”, con cui le potenze occidentali – in primis Inghilterra, Stati Uniti e Francia – avevano imposto alla Cina a colpi di cannone la loro supremazia coloniale, e che includevano anche privilegi e garanzie sempre più larghe per i missionari occidentali: «Il Trattato di Tien-Tsin, del 1858» ha ricordato Parolin «conferì alla Francia il Protettorato “generale” in Cina su tutti i cristiani, di qualsiasi confessione o nazione, fossero pure cinesi, garantendo le attività di culto ed evangelizzazione alla religione cristiana e la rivalsa economica per i danni causati da eventuali attentati». In tale scenario, nei decenni successivi, si registrano gli episodi più spudorati del boicottaggio occidentale – tutti ripercorsi da Parolin – verso i tentativi messi in atto da Cina e Santa Sede per avvicinarsi e consolidare relazioni dirette. Già nel 1881 Pechino aveva fatto conoscere in Vaticano il desiderio d di stabilire relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Le trattative, nel 1886, erano giunte fino alla nomina di un nunzio apostolico da inviare presso il governo cinese. «Ma il rappresentante pontificio» ha riferito Parolin «non poté partire a causa dell’opposizione sorda della Francia, determinata a difendere ad oltranza il suo Protettorato contro ogni possibile ridimensionamento».
Nel suo intervento, il Segretario di Stato vaticano si è soffermato soprattutto sull’intensa fase di trattative che ebbe come protagonista Costantini, apertasi con la fine dell’Impero e con la proclamazione della Repubblica di Cina (1912). In quel frangente, mentre il popolo cinese reclamava l’abolizione dei “Trattati ineguali” e la fine del’asservimento agli occidentali, il governo repubblicano cinese fece di nuovo conoscere in Vaticano la volontà di stabilire relazioni diplomatiche con la Sede apostolica. «I negoziati» ha sottolineato Parolin «si conclusero felicemente nel 1918, ma per le solite difficoltà non ebbero alcun seguito». Allora Pio XI, nel 1922, decise di inviare proprio Costantini a rappresentarlo in Cina, come Delegato apostolico. «La sua missione – ha annotato Parolin – fu tenuta segreta fino al suo arrivo a Hong-Kong, «per non esporla al pericolo di un “naufragio”, a causa degli interessi politici delle potenze europee». Arrivato a destinazione, il delegato apostolico annotava nei suoi memoriali: «Di fronte specialmente ai Cinesi, ho creduto opportuno di non dover accreditare in alcun modo il sospetto che la religione cattolica apparisca come messa sotto tutela e, peggio ancora, come strumento politico al servizio delle nazioni europee. Volli, fin dai miei primi atti, rivendicare la mia libertà d’azione nell’ambito degli interessi religiosi, rifiutando di essere accompagnato presso le Autorità civili locali dai Rappresentanti di Nazioni estere. Avrei fatto la figura di essere in Cina in subordine a quei Rappresentanti».
Da Delegato apostolico, Costantini riuscì a far celebrare il primo Concilio nazionale cinese (Shanghai 1924) e a avviare il processo di decolonizzazione religiosa, combattendo le pervicaci rimanenze del Protettorato. Consegui buoni risultati anche nella lotta contro quello che Parolin ha definito «l’occidentalismo», che «dava una veste europea al cristianesimo in Estremo Oriente, finendo per presentarlo come una religione straniera, trattata come un “corpo estraneo”». Ma i suoi tentativi di avviare trattative per stabilire accordi diplomatici tra Cina e Santa Sede continuarono a scatenare reazioni abnormi. E anche allora, le opposizioni più feroci venivano da autorevoli esponenti clericali: «la Francia» ha raccontato Parolin a Pordenone «si oppose risolutamente, sostenuta anche da alcuni circoli missionari e persino da vescovi francesi in Cina, soprattutto quelli di Tianjin, Zhengding, Xianxian, Yuanpingfu e Pechino». In quel clima sovraeccitato, Costantini divenne addirittura bersaglio «di una raffica di attacchi volgari e inauditi, i quali lo indussero a sospendere la tessitura della trama diplomatica».
Così si persero occasioni e anni preziosi.
Una rappresentanza cinese in Vaticano si poté istituire solo nel tempo della Seconda Guerra mondiale, e solo per l’insistenza della Cina ad avere lo stesso riconoscimento che il Vaticano aveva concesso al Giappone, alleato della Germania nazista. La Delegazione apostolica di Pechino fu elevata al rango di nunziatura solo dopo la guerra, nel 1946. Nello stesso anno – ha aggiunto Parolin – Pio XII instaurò la gerarchia episcopale cinese, riconoscendone «la responsabilità e l’autonomia di governo rispetto a istituzioni occidentali». Risultati raggiunti anche grazie al lavoro paziente e tenace di Celso Costantini – divenuto Segretario della Congregazione di Propaganda Fide dal 1935 al 1953 –, che sarebbero presto stati travolti dalla Rivoluzione maoista.
Adesso, dopo decenni di tragedie e sofferenze attraversate dai cattolici cinesi, il possibile cambio di passo nelle relazioni tra la Santa Sede e la Cina comunista – ha detto Parolin a Pordenone – si trova davanti a «problemi non del tutto dissimili a quelli affrontati 70 anni fa». E nei contesti storici radicalmente mutati, la prospettiva di relazioni più strette tra la Cina Popolare e la Chiesa di Roma continua a provocare allarmi e angosce nei circoli ben attrezzati – con annessa sezione ecclesiastica – che si ostinano a identificare la Chiesa cattolica come correlato religioso dell’Occidente a guida nord-atlantica, e a pretendere un “tutoraggio papale” etico-spirituale ai processi di globalizzazione a guida statunitense-occidentale. Si spiega anche così l’accanimento forsennato di certe campagne strumentali condotte in Occidente per attaccare e screditare le trattative in corso tra Cina Popolare e Santa Sede, accusata di perseguire per vanagloria un accordo politico con Pechino «sulla pelle dei cattolici cinesi», o di cedere agli spregiudicati burattinai cinesi solo per compiacere il proprio cieco e ingenuo “ottimismo”. Caricature grottesche, totalmente fuori misura rispetto al modus operandi della Santa Sede, avvezza a tenere conto di tutti i fattori e gli attori implicati nella grande partita cinese. Compresi gli eventuali sabotaggi pianificati in Occidente, che non sono iniziati ora, come ha raccontato a Pordenone il cardinale Parolin.