Le conversazioni di pace tra il governo colombiano del presidente Manuel Santos e le Farc, (le Forze armate rivoluzionarie di Colombia (nate il 27 maggio 1964, il più vecchio gruppo armato operante in America Latina), cominciarono ufficialmente il 4 settembre 2012, a L’Avana, Cuba. In pratica, quindi, con l’aiuto e il sostegno del governo del presidente cubano Raúl Castro, si negozia da quattro anni. Intanto nel Paese e in tutta l’America Latina e altrove (Vaticano, ONU, Unione Europea …) cresce l’interesse e l’appoggio perché si arrivi a porre la parola fine su questa fin troppo lunga sofferenza di un popolo che per oltre cinque decadi è stato vittima di terribili violenze incrociate tra gruppi armati di sinistra, di destra, Forze Armate e Polizia. A questo punto, se il referendum approverà gli Accordi, e sembra l’alternativa più probabile anche se alcuni settori colombiani stanno chiamando a votare “no” (guidati dall’ex presidente Alvaro Uribe), l’evento si aggiungerà ad un altro ugualmente epocale annunciato nel dicembre 2014: la normalizzazione dei rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti.
Il processo dalla Norvegia al referendum
Il processo dei negoziati, i cui preliminari cominciarono in Norvegia nel 2012, non è stato facile e più di una volta si è temuto il peggio, come quando dopo il sequestro di un generale da parte della guerriglia, ci fu una sospensione dei colloqui. Il 10 dicembre 2015, però, le attività della delicata e difficile negoziazione ripresero addirittura con più forza. Qualche tempo fa le due parti annunciarono l’Accordo complessivo sui sei capitoli del negoziato. Bruciava il ricordo del fallimento clamoroso del negoziato tentato anni fra tra l’allora presidente Andés Pastrana e Manuel Marulanda, il defunto leader storico delle Farc.
Il 23 giugno scorso nella capitale cubana si sono dati appuntamento numerosi leader latinoamericani per testimoniare, con la loro presenza, la rilevanza di questa vera svolta storica nella regione: il cessate del fuoco definitivo e bilaterale. Da allora si è continuato a discutere per perfezionare intese e meccanismi e, soprattutto, per la stesura dell’Atto conclusivo del negoziato. Un documento (firmato dal presidente Juan Manuel Santos e dal leader delle Farc, Rodrigo Londoño Echeverri, meglio noto con il nome di Timoleón Jiménez), che dovrebbe essere la base del referendum popolare che con un “sì” o un “no” sancirà la fine, è l’auspicio più generalizzato nel Paese e fuori, di questa orrenda guerra: 220.000 persone uccise, più di 45.000 scomparsi o dispersi e quasi 7 milioni di colombiani sfollati.
Il 18 luglio, il presidente Santos salutò con grande soddisfazione l’approvazione da parte della Corte Costituzionale del referendum per dare effettiva legalità ai contenuti dell’Accordo tra governo e Farc. Nei prossimi giorni si dovrebbe annunciare la data del plebiscito popolare anche se le campagne per il “sì” e per il “no” sono in atto da settimane.
Per ora i sondaggi sono contradditori. Tutti dicono che vince il “sì” con oltre il 34% dei voti, ma il “no” si attesta molto vicino con uno scarto di tre punti (Datexco). “Ivamer” attribuisce invece al “sì” il 67,5%.
Intanto si è aperta anche un’altra controversia e riguarda la sostanza del pronunciamento popolare. La stragrande maggioranza dei giuristi precisa che non si vota fra “pace” (con il sì) e “guerra” (con il no). Si vota, si osserva, sugli Accordi dell’Avana e ciò significa che si vince il “sì” tali negoziati vengono approvati e sanciti dal popolo e se invece vince il “no” gli Accordi devono essere rinegoziati.
Per la pace la strada è ancora in salita
Il percorso referendario è ancora tutto in salita se si tiene conto delle regole fissate dalla Corte Costituzionale. I giudici della Corte hanno fissato al 13% (circa 4,4 milioni di voti) il quorum necessario al “sì” per essere costituzionalmente riconosciuto oltre ovviamente a dover rappresentare la maggioranza dei voti rispetto al “no”. Quindi, sui circa 17 milioni di colombiani aventi diritto al voto, almeno 4,5 milioni dovranno esprimere il proprio favore agli Accordi e superare ovviamente il numero dei voti contrari.
Ad una visione sprovveduta il tutto può apparire molto semplice al punto di chiedersi, come mai una persona possa votare contro la pace e dunque a favore della guerra. Naturalmente le cose non stanno così poiché, come già ricordato, si vota sull’accettazione o sul rifiuto dell’Atto finale degli accordi. I problemi emergono, e in modo prepotente, quando la prospettiva della pace viene associata ai 52 anni di conflitto e perciò le polemiche tra assertori e del “sì” e del “no” si incrociano con considerazioni molto politiche, partitiche ed elettorali facendo aumentare così le parti interessate: paramilitari, narcotrafficanti, trafficanti d’armi, mafie di sequestratori e bande organizzate che monopolizzano la micro-delinquenza urbana. Queste forze non guadagnerebbero nulla con la pace. La pace è un bisogno urgente e drammatico del popolo. In questo contesto, spesso non confessato, s’incrociano argomenti diversi, spesso indirizzati alla pancia degli elettori e non alla ragione e al cuore. Ecco dunque che spuntano le sentenze: si desidera dare impunità a criminali e narco-guerriglieri, i loro crimini resteranno impuniti, assassini e sequestratori potranno presentarsi alle elezioni e magari diventare deputati o senatori. In un popolo che ha sofferto molto, tali argomenti pesano e non sono per nulla marginali.
La Chiesa Cattolica
Lo scorso 17 agosto l’episcopato colombiano ha esortato tutti a votare e a decidere sottolineando però che non darà nessuna indicazione specifica a favore dell’una o dell’altra parte. Il comunicato dei vescovi ricorda che il mese scorso hanno chiesto ai colombiani di partecipare “alla consultazione sugli accordi dell’Avana in modo responsabile, con un voto informato e in coscienza, che esprima liberamente la loro opinione, come esercizio effettivo di democrazia e con il giusto rispetto per quello che deciderà la maggioranza”. Nel ribadire la posizione di neutralità di fronte alle alternative, il presidente della Conferenza episcopale colombiana, monsignor Luis Augusto Castro Quiroga, in occasione della presentazione del suo libro sulla pace vista con gli occhi delle vittime, ha osservato: “È bene che questo libro sia letto dagli uni e dagli altri”, da chi è per il Sì e da chi è per il No, dato che “l’obiettivo della pace è nel cuore di molti colombiani, anche nel caso non siano tutti d’accordo con il processo di pace dell’Avana”.
La Chiesa in Colombia da molti anni sostiene la via politica per risolvere questo conflitto e dunque si è sempre opposta all’opinione che, tuttora, sostiene come via risolutiva quella militare. Per questi motivi l’Episcopato si è impegnato fin dall’inizio nel sostenere, con i mezzi propri della comunità ecclesiale, i negoziati dell’Avana così come fa anche oggi nel caso dei negoziati, aperti poco tempo fa, sempre a Cuba tra il governo di Bogotá e il secondo gruppo armato, l’Esercito di liberazione nazionale (ELN). La convinzione di fondo è sempre la stessa: non c’è un’altra via per mettere fine alle sofferenze dei colombiani che raggiungere la pace sapendo che non è un cammino facile e che non sempre le necessarie concessioni di ogni negoziato saranno gradite a tutti.
Papa Francesco
Francesco sin dall’inizio del pontificato ha offerto il suo sostegno, chiaro e costante, al negoziato di pace, in particolare nei passaggi più delicati. Un sostegno dato anche, a più riprese, al presidente Manuel Santos. In modi diversi e discreti, anche la diplomazia vaticana ha appoggiato questi colloqui. Tempo fa il Santo Padre si congedò dal presidente Santos dicendo: “Se firmate la pace vengo in Colombia”. Ora, è quasi certo che la visita del Papa, attesa dai colombiani con speranza ed entusiasmo, sarà nei primi mesi del 2017. Informato sulla firma del primo accordo globale preliminare il 23 giugno, il Papa esclamò: “Mi rende felice!”. “In questo momento – aveva detto nel settembre 2015 – mi sento in dovere di rivolgere il mio pensiero all’amata terra di Colombia, consapevole dell’importanza cruciale del momento presente, in cui, con sforzo rinnovato e mossi dalla speranza, i suoi figli stanno cercando di costruire una società pacifica. Che il sangue versato da migliaia di innocenti durante tanti decenni di conflitto armato, unito a quello di Gesù Cristo sulla Croce, – ha aggiunto – sostenga tutti gli sforzi che si stanno facendo, anche qui in questa bella Isola, per una definitiva riconciliazione”.
Tra l’altro nel momento dell’applicazione degli Accordi, se saranno sanciti dal popolo colombiano, Papa Francesco è stato invitato a nominare un giudice dei 20 della Corte speciale che giudicherà gli autori dei reati più gravi perpetrati dalle parti durante il conflitto.
Il ruolo dell’ONU
In tutto il processo dei negoziati l’ONU è stata sempre presente e non ha mai mancato di dare ogni tipo di sostegno ai colloqui. Ora, l’Organizzazione internazionale deve assumere un nuovo ruolo, fondamentale e delicato, che da più parti si auspica inizi presto, “entro le prossime tre o quattro settimane”, ha detto l’Alto commissario per la pace del Governo colombiano, Sergio Jaramillo. Il Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, giorni fa ha fatto sapere che i 450 osservatori chiamati a formare la prevista missione delle Nazioni Unite, opereranno in 40 diverse località, coinvolgendo molti civili. Al momento solo 80 degli osservatori si trovano in Colombia e si sono già recati in alcune delle aree dove è previsto che avvenga la raccolta delle armi che le forze Farc hanno accettato di deporre. Come è noto il monitoraggio del disarmo è uno degli obiettivi chiave della missione delle Nazioni Unite. In questa forza prenderanno parte militari di altre nazioni tra cui Argentina, Cuba, Cile, Perù e Brasile.