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Madre Teresa e il piccolo Govindo: la grazia di un’adozione inaspettata

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Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 20/08/16
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Marina Ricci racconta il meraviglioso incontro che ha cambiato la sua vita e quella della sua famigliaMarina Ricci, giornalista ed ex vaticanista del Tg5, narra nel libro “Govindo. Il dono di Madre Teresa” (San Paolo edizioni) la sua storia e quella della sua famiglia, provvidenzialmente intrecciata a Santa Madre Teresa di Calcutta e alle Missionarie della Carità. La prima stesura del racconto è rimasta chiusa in un cassetto per quindici anni, oggi l’autrice ha deciso di condividere l’enorme grazia che ha benedetto la sua vita e quella dei suoi cari a partire dalla fine del mese di novembre del 1996…

IL PRIMO VIAGGIO A CALCUTTA

Nel 1996 Marina Ricci viene mandata a Calcutta per seguire da vicino la vicenda di Madre Teresa che sta affrontando una grave malattia tanto da far pensare che sia prossima alla morte. La giornalista non è affatto contenta di partire, è preoccupata, come per ogni trasferta, di lasciare i quattro figli e il marito:

«Del resto so di essere stata una giornalista anomala. Più casalinga che inviato e perciò angosciata dai mille problemi della casa e dei figli che se la dovevano cavare da soli; dal pensiero di mio marito – giornalista anche lui – che lasciavo puntualmente nei guai».

L’INCONTRO CON SISTER FREDERICK

Marina, grazie all’incontro speciale con Sister Frederick – “(…)Sembrava una vecchietta delle favole, buona e insieme ironica, certamente saggia e spaventosamente assomigliante all’attore britannico Alec Guinness (…)” – riesce ad aver il lasciapassare, impossibile da ottenere, per visitare insieme alla sua troupe la casa dei moribondi e quella dei bambini.

L’ORFANOTROFIO E IL “BAMBINO MINUSCOLO”

L’ingresso nell’orfanotrofio di Shisu Bhavan è colmo di emozioni contrastanti per Marina: paura, tristezza, repulsione, e quando il suo sguardo incontra quello del piccolo Govindo non può immaginare che da quel momento sarebbe cambiata la sua vita:

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«Ho varcato la soglia di Shishu Bhavan in totale inconsapevolezza. Non avevo nulla in testa salendo le scale che portano allo stanzone dove vivono, mangiano e dormono i bambini handicappati dell’orfanotrofio di Madre Teresa. Non sapevo neppure che il mio viaggio sarebbe cominciato proprio da quel reparto. (…) Lasciate le scarpe fuori dalla porta, a piedi nudi ho varcato la soglia del dolore bambino. Quello tenero e disperato, colmo di orrore e di dolcezza. Lo stanzone era in penombra, pieno di lettini con le sbarre di legno o di ferro. Sulla destra, per terra, c’era un bambino minuscolo. Aveva le braccia e le gambe incrociate in una postura quasi fetale, ferme come se uno spasmo le avesse inchiodate per sempre in quella posizione. Era steso sulla schiena e guardandomi cercava di sollevare la testa senza riuscirci. Sembrava volesse venire da me o chiedermi di chinarmi su di lui e di prenderlo in braccio. E anch’io ero paralizzata. Non riuscivo a rispondere all’invito di quel corpicino crocifisso, che nel primo impatto visivo mi impauriva e provocava in me (…) un senso di ripugnanza».

IL PIANTO E… “ADOPTION, ADOPTION”!

Nel cortile di Shishu Bhavan la giornalista piange disperatamente “con un paio di suorine che a distanza sorridevano tutte contente e incitavano: «Adoption, adoption»”. Una chiamata al marito piena di parole, sospiri, e condivisione: “«Fai quello che ti senti di fare. Per me va bene»”, le risponde Tommaso con grande amore e fiducia.

“IL SIGNORE LE CHIEDE QUALCOSA DI PIÙ: PRENDA UN BAMBINO HANDICAPPATO”

Quando Marina si presenta da sister Marjorie, responsabile delle adozioni, è convinta che il suo sia un comportamento da ammirare, la sua disponibilità ad adottare una buona azione, e invece…

«(…) sister Marjorie mi guardava dritta in faccia, «il Signore le chiede qualcosa di più. Prenda uno di quelli che nessuno vuole. Prenda un bambino handicappato». La mia risposta fu netta e immediata: «Mi dispiace, ma non è possibile. Io lavoro, ho già quattro figli, come potrei occuparmi di un bambino handicappato? (…) mi uscì fuori l’ennesima frase sbagliata: «Guardi non è proprio possibile. Non è per me, lo farei anche, l’avevo pure visto un bambino…» (…) «Andiamo, me lo faccia vedere», decise autoritaria la suora. (…)Sister Marjorie lo prese e me lo mise in braccio. (…) impiegai cinque secondi a restituire il bambino a una delle suore che erano nella stanza e a sparire (…)».

GOVINDO: UN LEGAME MISTERIOSO

Nonostante la fuga e la paura per la malattia degenerativa di Govindo che non cammina ed è ridotto a pelle e ossa, l’attrazione per lui è fortissima: è un legame incomprensibile ma già profondo.

«(…)Ricordo bene di essermi accorta con meraviglia che nessuno di quei visetti riusciva a colpirmi in modo particolare. Mi commuovevano, ma nessuno mi aveva stregata. Solo lui, che non piangeva e non si aggrappava ai miei vestiti, era misteriosamente riuscito a legarmi a sé».

A Calcutta Marina torna a parlare con Dio, sente la sua presenza in maniera potente: è scossa, travolta dalle emozioni, dalle lacrime, e dopo lunghi anni si riavvicina alla confessione e ai sacramenti grazie alla sua speciale amica e “fata madrina” sister Frederick.

«SE DIO CHIEDE QUALCOSA, DEVE ANCHE DARE LA FORZA PER FARLA».

Rientrata a Roma, nonostante le giuste obiezioni di parenti e amici rispetto al passo importante di adottare un bambino così gravemente malato, Marina e Tommaso d’accordo con i quattro figli decidono di adottare Govindo:

“(…)Mi faceva male sentire l’elenco dei disastri che sarebbero avvenuti nella mia vita e in quella della mia famiglia a causa dell’adozione. Ma capivo che era ragionevole e comprensibile proprio da parte di chi mi voleva bene tentare di farmi riflettere, di dissuadermi dal proposito. (…) Era una chance per me, prima di esserlo per Govindo. Era la possibilità di allargare il cuore e di dire, senza usare parole, ai miei figli che il cuore di ognuno può diventare grande, nonostante le sue miserie, i suoi difetti, le sue incapacità. Forse da adulti lo avrebbero ricordato. Sister Frederick mi aveva detto: «Se Dio chiede qualcosa, deve anche dare la forza per farla». Ripetevo dentro di me le sue parole e mi sentivo in debito nei confronti di questo bambino. In debito perché tornavo a pregare. In debito perché mio marito e io ci amavamo più di prima e in modo diverso da prima”.


LA MORTE DI MADRE TERESA, NUOVA PARTENZA PER CALCUTTA, LA GIOIA DI RIVEDERE IL BAMBINO

“(…) Arrivai di corsa e la trovai sulla porta, mentre con lo sguardo cercavo già per terra il bambino senza trovarlo. Govindo era dalla parte opposta della stanza, vicino alle finestre, seduto su un seggiolone di legno. Quello che accadde poi è avvolto nella nebbia di un’emozione fortissima. Appena mi vide, il bambino cominciò ad agitarsi, a sorridere, a tentare di emettere suoni dalla bocca. La gioia forzava l’immobilità del suo viso. La sua volontà sfidava la paralisi. (…)Sì, mio figlio mi aveva riconosciuto. (…) Incredula che tutto questo sia capitato proprio a me. Non so neanche spiegare quella sensazione incredibile e indescrivibile che pervade quando ciò che accade si impone a ciò che pensi, quando lo straordinario entra nell’ordinario e vince ogni remora e ogni incredulità. Quando Dio si impone con forza tale da lasciare ammutoliti, incapaci di pronunciare altro se non un monosillabo di assenso. Sì, ho capito che sei Tu. Sì, ho capito che vuoi questo perché lo hai detto in modo così violento, evidente, forte che non si può far finta di non aver capito, di non aver sentito, di non aver visto. Credo che questo sia il miracolo. Questo abbattersi di Dio che non lascia scampo. Questa “grazia grandissima”, come dice sister Frederick, che si può solo accogliere prima ancora che con gratitudine, con sbalordimento”.

Marina e Tommaso sfiniti dalla lunga attesa partono per l’India per andare a prendere Govindo e portarlo finalmente a casa. L’arrivo a Roma è una vera festa, con parenti ed amici ad attenderli all’aeroporto e i figli che corrono e strepitano come matti per conoscere il quinto fratellino, Gogo, come lo hanno già soprannominato. Così comincia la loro vita insieme tra lunghi ricoveri, quotidianità, risate, preoccupazioni, preghiera, sorprese, sacrifico, paura, doni, dolori, piccoli miracoli, grande amore… fino alla morte di Govindo, il 5 novembre del 2010 a diciotto anni compiuti.

Gogo è stato un dono prezioso per la sua famiglia e il libro è la testimonianza intensa di questo regalo magnifico. La sua esistenza fragile, silenziosa, bisognosa di cure, ha permesso ai suoi genitori adottivi e ai fratelli di restare uniti, di pregare insieme in ginocchio nel momento della sua morte, di ringraziare il Signore per un regalo tanto grande. L’arrivo di Govindo li ha salvati dall’inganno del mondo che afferma che vivere è divertirsi, occuparsi di se stessi, capirsi. Insieme hanno così potuto gustare la vera prelibatezza della vita e saggiarne il mistero: amare, accettare l’altro, vivere per lui – soprattutto quando debole e malato- non risparmiarsi, ma consumarsi, donarsi, come ha fatto per tutta la vita la Mamma di Calcutta che il 4 settembre sarà proclamata santa e che ora contempla il Volto di Dio insieme a Govindo e a tutti i suoi bambini già volati in cielo.

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