Il 14 agosto si celebra la memoria del grande santo. Tutti conoscono la storia del suo martirio, ma non penso che siano in molti a conoscere i dettagli dell’uomo a cui ha salvato la vita. Ecco la sua biografia come presentata su Wikipedia:
Franciszek Gajowniczek, cattolico romano, è nato a Strachomin, vicino Mińsk Mazowiecki. È vissuto a Varsavia sin dal 1921, aveva una moglie e due figli. Soldato professionista, ha preso parte alla difesa di Wieluń e di Varsavia nel settembre del 1939. Fatto prigioniero dalla Gestapo a Zakopane, è arrivato ad Auschwitz l’8 settembre 1940. Quando un prigioniero fu dichiarato evaso, il sottufficiale Karl Fritzsch ordinò che altri dieci prigionieri fossero lasciati morire di fame, per rappresaglia. Franciszek Gajowniczek (prigioniero numero 5659) fu uno dei selezionati. Quando il francescano Kolbe udì il grido di agonia di Gajowniczek, terrorizzato per la sorte della famiglia, offrì se stesso (per questa azione venne poi canonizzato). Si ignorano quali siano state le parole esatte di Kolbe, ma una versione riporta queste: “Sono un sacerdote cattolico dalla Polonia; vorrei prendere il suo posto, perché lui ha una moglie e dei figli”. Fu concesso lo scambio, e dopo la morte di tutti i compagni di cella Kolbe (prigioniero numero 16670) fu ucciso con un’iniezione di acido carbolico (fenolo).
Gajowniczek fu deportato da Auschwitz al campo di concentramento di Sachsenhausen il 25 ottobre 1944. Lì venne liberato dagli Alleati, dopo cinque anni, cinque mesi e nove giorni trascorsi nei campi nazisti. Si ricongiunse con la moglie Helena sei mesi dopo, a Rawa Mazowiecka. Lei sopravvisse alla guerra, ma i figli restarono uccisi nel 1945 durante il bombardamento sovietico della Polonia occupata dai nazisti, prima della liberazione.
Gajowniczek fu ospite di Papa Paolo VI in Vaticano il 17 ottobre 1971, quando Massimiliano Kolbe fu beatificato per il suo martirio. Nel 1972, il Time segnalò che oltre 150mila persone raggiunsero in pellegrinaggio Auschwitz per onorare l’anniversario della beatificazione di Kolbe. Uno dei primi a parlare in tale occasione fu proprio Gajowniczek, che disse: “Voglio esprimere la mia gratitudine per il dono della vita”. Sua moglie Helena morì nel 1977. Gajowniczek fu nuovamente nel Vaticano, come ospite di Papa Giovanni Paolo II, quando Massimiliano Kolbe fu canonizzato, il 10 ottobre 1982.
Nel 1994 Gajowniczek visitò la chiesa cattolica San Massimiliano Kolbe di Houston, dove disse al suo traduttore, il Cappellano Thaddeus Horbowy, che fino a quando avrebbe avuto “fiato in petto” avrebbe considerato suo “dovere raccontare a tutti dell’eroico atto d’amore di Massimiliano Kolbe”. Gajowniczek morì nella città di Brzeg il 13 marzo 1995 all’età di 93 anni. Fu seppellito nel cimitero di un convento a Niepokalanów, a circa 53 anni di distanza dal giorno in cui Kolbe gli salvò la vita.
Nel 1990 visitò Philadelphia. Scriveva il The Philadelphia Inquirer:
Ad Auschwitz ha rappresentato la porta attraverso il quale il sacerdote ha avuto accesso alla morte, facendogli guadagnare la santità.
Sabato sera – vicino all’altare, dopo la Comunione – Franciszek Gajowniczek ha parlato alla congregazione attraverso l’interprete Maria McGinn, una parrocchiana nata in Polonia.
Il 30 luglio 1941, nel campo di concentramento di Auschwitz, un ufficiale tedesco ha ordinato agli uomini di un determinato padiglione di radunarsi, perché uno di loro era appena evaso.
“Sarebbe servito da esempio per tutti”, ha detto Gajowniczek, “in modo che loro avessero paura di scappare”.
Sarebbero stati scelti dieci uomini da far morire.
“L’ufficiale era di fronte a me”, ha detto ai presenti, “e mi ha indicato. Sapevo di essere stato scelto per morire”.
“Lascio mia moglie”, disse Gajowniczek all’ufficiale, “e miei figli saranno orfani”.
Ma il sacerdote prigioniero fece un passo avanti, distaccandosi dagli altri carcerati. E prese parola.
”Voglio prendere il posto di quest’uomo. Lui ha una moglie e una famiglia. Io non ho nessuno. Sono un sacerdote cattolico”.
Il sopravvissuto guardò al prete. Le regole del campo di concentramento impedivano loro di scambiarsi una parola.
“Aveva un aria soddisfatta, sul suo volto”, disse Gajowniczek, “e sembrava essere molto contento di ciò che stava facendo”.
I 10 furono portati via, spogliati, isolati e lasciati morire di fame.
Il 14 agosto 1941 i quattro che non erano ancora morti – tra cui il sacerdote – furono uccisi con un’iniezione letale.
Il sacerdote, disse il sopravvissuto alla congregazione, “è il santo patrono di chiunque sia in stato di necessità… il santo patrono di chiunque abbia bisogno di aiuto”.
[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]