E’ il più grande massacro di religiosi e fedeli cristiani avvenuto in Africa. Tra il 21 e il 29 maggio del 1937, monaci, preti e pellegrini ortodossi, radunati nel monastero di Debre Libanos per la festa dell’Arcangelo Mikael e di San Tekle Haymanot, vengono trucidati dalle truppe italiane, comandate dal generale Maletti, dietro un preciso ordine del Viceré Rodolfo Graziani. A 80 anni esatti dalla conquista italiana dell’Etiopia, attraverso un’ accurata ricostruzione storica, basata su testimonianze e documenti inediti, Tv2000 in un docu-film dal titolo ‘Debre Libanos’ di Antonello Carvigiani con la regia e fotografia di Andrea Tramontano, a cura di Dolores Gangi. Andato in onda il 21 maggio e il 22 maggio, racconta la storia di una barbarie pressoché sconosciuta in Italia. Secondo le ultime ricerche storiche, il numero delle vittime di questa strage sarebbe compreso tra 1.800 e 2.200, mentre il rapporto ufficiale stilato dal Viceré Rodolfo Graziani parla di “solo” 449 morti.
Il docu-film, girato tra Addis Abeba e Debre Libanos, ricostruisce i fatti storici grazie al contributo di Ian Campbell, il maggiore studioso della strage, al monaco di Debre Libanos, Abba Hbte Gyorgis e ad un testimone ultranovantenne di quei tragici avvenimenti, Ato Zewede Geberu. A questi, si aggiungono il Patriarca della chiesa ortodossa di Etiopia, Abuna Matthias I e l’ Arcivescovo di Addis Abeba, il cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel.
Il massacro di Debre Libanos è l’ultima, tragica conseguenza di un attentato contro Graziani. Nel febbraio del 1937 due giovani eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom, nel cortile del palazzo del governo, lanciano alcune bombe contro il Viceré. Sette sono i morti. Graziani viene ferito. Gli italiani scatenano una feroce vendetta. Per tre giorni Addis Abeba viene messa a ferro e fuoco. E’ una strage. I due attentatori fuggono verso il Nord del Paese in direzione del monastero di Debre Libanos accompagnati da Simion Adefris un giovane intellettuale cattolico che lavora come tassista ad Addis Abeba, lo zio dell’attuale arcivescovo di Addis Abeba, il card. Berhaneyesus Demerew Souraphiel. Il giovane tassista viene arrestato e giustiziato nel carcere di San Giorgio.
“Mio zio è morto a soli 24 anni – ha raccontato il cardinale – e mia zia dovette pagare con l’oro i responsabili della prigione per avere il corpo del marito e dargli sepoltura nel cimitero cattolico”. Ma non basta. Graziani è convinto che i due giovani attentatori siano nascosti nel monastero di Debre Libanos, uno dei centri più importanti sia per la spiritualità e che per l’identità nazionale etiopica. E’ il pretesto per regolare definitivamente i conti con la Chiesa ortodossa, ritenuta ispiratrice e fiancheggiatrice della resistenza anti-italiana.
Il 18 maggio del 1937, il generale Maletti, dopo uno scambio di telegrammi con Graziani, mostrati per la prima volta nel docu-film di Tv2000, accerchia con il 45esimo battaglione la cittadella conventuale di Debre Libanos. L’eccidio avviene in un luogo isolato: Laga Welde. Lontano da testimoni. Nessuno deve vedere ciò che accade. Ma c’è qualcuno che sente. E’ Ato Zewede Geberu, oggi ultra 90enne: “All’epoca avevo 15 anni. Non ho visto il massacro. Ma l’ho sentito. Ho sentito i colpi della mitragliatrice. Abbiamo avuto paura siamo rimasti nascosti nel nostro villaggio. Dopo due-tre giorni sono andato a vedere. C’erano ancora i cadaveri, centinaia di morti, forse 600, 700. E gli animali cominciavano a mangiarli”. E’ la prima tappa della strage. La seconda avviene in un altro luogo isolato a Debre Berhan. Qui, qualche giorno dopo, su ordine esplicito di Graziani, vengono uccisi anche tutti i diaconi.
“Non si è trattato di un cosa buona – ha commentato il Patriarca della Chiesa ortodossa Tewahedo di Etiopia, Abuna Matthias I – E’ un fatto storico. Una situazione avvenuta 80 anni fa. Abbiamo perso tantissime persone, inclusi i monaci, il vescovo Abuna Petros. Adesso quasi tutto giustamente è stato dimenticato e perdonato. Posso dire che è bene così. Cosa si può fare? Cosa si può fare adesso?”.
Da un’idea di Lucio Brunelli. L’autore è Antonello Carvigiani. La regia e la fotografia sono di Andrea Tramontano; a cura di Dolores Gangi.