La serie di History Channel è una boccata d’aria nell’industria dell’intrattenimento, di solito imbevuta di laicismo
Su suggerimento di qualche collega più giovane di me a Word on Fire, mi sono preso del tempo per vedere Vikings, una serie di History Channel. I miei amici mi hanno detto che Vikings, e questo è curioso, è attualmente la serie tv più religiosa. E hanno ragione. Non fraintendetemi, c’è molta violenza. Saccheggi, scorribande, combattimenti con la spada e intrigo politico… quanto basta per soddisfare il pubblico più duro. Ma Vikings è anche pieno di religione, e di questo va dato atto al regista e sceneggiatore Michael Hirst. Un’enfasi non soltanto storicamente accurata, ma che ha il coraggio di contrastare la prassi dell’industria televisiva di rendere i personaggi indifferenti alla fede.
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Innanzitutto, in Vikings sono tutti religiosi: gli “Uomini del Nord” (e anche le donne), gli inglesi, i francesi e coloro che provengono da lande lontane. Ad essere sinceri questi gruppi sono religiosi in modi molto diversi tra loro, ma non c’è nessuno che non abbia una seria consapevolezza della presenza di una connessione con un regno spirituale. La spiritualità inoltre non è qualcosa di astratto, ma si incarna regolarmente nei riti, nella preghiera, nelle processioni, nella liturgia e nelle esperienze mistiche. L’ubiquità e l’intensità della fede in questi popoli e tribù fanno pensare all’osservazione del filosofo Charles Taylor, secondo cui – già prima del 1500 o giù di lì – era praticamente impensabile non essere religiosi. Che Dio esiste, che le potenze spirituali agiscono sulla terra, che continuiamo a vivere dopo la morte, che un’autorità superiore giudica le nostre azioni… tutto questo era la normalità nel genere umano. Taylor parla del “sé schermato” che oggi è arrivato ad essere maggioritario. Con questa locuzione si riferisce all’individuo moderno, “schermato” di fronte alla realtà e agli altri, che è chiuso alla dimensione trascendente, che abbraccia senza porsi domande a una visione del mondo naturalista e materialista. Ammetto che è stata una ventata d’aria fresca guardare un programma in cui ogni singolo “sé” non era “schermato”!
Il secondo motivo è che Vikings è straordinariamente istruttivo in merito a una delle questioni più spinose del nostro tempo, cioè lo scontro tra religioni. Quando i Vichinghi hanno iniziato a raggiungere le coste orientali dell’Inghilterra, il loro primo contatto è stato con il monastero di Lindisfarne, dove non hanno trovato guerrieri potenti, ma monaci pacifici e dediti alla preghiera. C’è una scena particolarmente emozionante in cui i Vichinghi hanno affrontato il monaco Athelstan (che ricoprirà un ruolo cruciale nella serie) scoprendo che quest’ultimo, tra tutti i tesori del monastero, era più preoccupato a proteggere una copia del Vangelo. Circondato da spade, mazze e torce, Athelstan tiene il sacro libro stretto a sé. Non penso ci sia un modo più potente e bello di indicare la centralità della Parola per i cristiani. In un’altra razzia, Floki – una sorta di mistico vichingo e strenuo difensore della spiritualità normanna – entra in una cappella dove si sta celebrando Messa. Il sacerdote e i fedeli sono terrorizzati, mentre Floki va verso l’altare, beve un po’ di vino consacrato e poi lo sputa per terra. I cristiani presenti hanno un sussulto e gridano in preda allo sgomento. I conquistatori rimangono perplessi, ma imparano una lezione molto importante sulla teologia cristiana dell’Eucaristia.
E si impara sull’altro in modo reciproco. Dato che Athelstan parla la loro lingua, i Vichinghi lo portano con loro nella propria patria. Lì il monaco diventa, nel tempo, un amico intimo del re vichingo Ragnar. Dal sovrano pagano Athelstan ascolta la storia di Thor, Odino e delle altre divinità scandinave, imparando ad apprezzare la spiritualità di queste figure e di questi miti. Athelstan indossa un amuleto con le divinità di Ragnar, anche quando conduce Ragnar nelle parole del Padre Nostro. Ma non è il solito minestrone politicamente corretto in cui tutte le sensibilità spirituali sono uguali. I personaggi di Vikings seguono la propria religione in modo integro. Dopo un “flirt” con la religione scandinava, Athelstan abbraccia nuovamente (e definitivamente) il cristianesimo, con gioia; e nonostante i tanti contatti con il cristianesimo, Floki resta un zelante adepto della religione vichinga. Inoltre Rollo, fratello di Ragnar, che accetta il battesimo per cinici obiettivi politici, si sente sensibilmente cambiato dal sacramento. In definitiva c’è tutta la confusione, il fascino, la violenza esplosiva e il dialogo che ci aspetteremmo da un confronto reale tra fedi diverse.
Vorrei concludere con un’osservazione finale, questa volta riguardo a Rollo. Sebbene i creatori della serie abbiano stravolto un po’ di cose per aggiungere un po’ di drammaticità, il Rollo storico è davvero diventato un cristiano convinto, stabilendosi poi nella regione settentrionale dell’attuale Francia. Dal momento che lui e i suoi uomini erano normanni (cioè “uomini del nord”), quella zona è conosciuta come Normandia. Uno dei discendenti di Rollo è stato Guglielmo il Conquistatore, la cui estrema influenza sullo sviluppo dell’Inghilterra cristiana è più che nota. La Regina Elisabetta II, che porta il titolo di “Difenditrice della Fede”, è una discendente di Guglielmo, e quindi di Rollo. Come mostrato da Athelstan, il cristianesimo ha sempre avuto il potere di assimilare, la capacità di adattarsi a quanto c’è di buono, vero e bello nelle altre forme culturali e religiose. Ed è meraviglioso che Vikings mostri questo aspetto.
Se quindi siete stanchi del laicismo che domina nella politica e nell’intrattenimento di oggi, vi invito a guardare questo programma che fa della religione (in particolare del cristianesimo) il suo tema centrale.
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[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]