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Dolore muto ad Auschwitz. Francesco sceglie il silenzio nel luogo simbolo della Shoah

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Vatican Insider - pubblicato il 23/07/16
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«Io vorrei andare in quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, soltanto i pochi necessari… Da solo, entrare, pregare. E che il Signore mi dia la grazia di piangere». Lo scorso 26 giugno sul volo di ritorno dall’Armenia, Francesco aveva risposto in questo modo a una domanda di padre Federico Lombardi sulla visita ai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, una delle tappe più significative del prossimo viaggio in Polonia. Nel luogo simbolo della Shoah, lo sterminio dei sei milioni di ebrei, che visiterà la mattina di venerdì 29 luglio, Bergoglio ha deciso di non pronunciare alcun discorso. Un silenzio che testimonierà profondo rispetto per le vittime e griderà più di mille parole il dolore per l’immane tragedia, buco nero nella coscienza dell’Europa cristiana. 

Con quella risposta sull’aereo, all’indomani della preghiera ugualmente silenziosa al Memoriale di Tzitzernakaberd a Yerevan, costruito a ricordo delle vittime del genocidio, Francesco ha spiegato le ragioni di un cambio di programma, dato che nella bozza iniziale già nota era previsto un discorso papale. 

Papa Bergoglio è il terzo Pontefice a farsi pellegrino ad Auschwitz. Il primo fu Giovanni Paolo II, il 7 giugno 1979, durante il suo primo ritorno in patria. Lui, che ex vescovo di Cracovia, nella cui diocesi rientra il territorio di Auschwitz-Birkenau, volle celebrare lì una messa, in quel luogo «costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo nel nome di un’ideologia folle». 

Dieci anni fa, il 28 maggio 2006, a varcare il portone con la scritta «Arbeit macht frei» era stato Benedetto XVI. «Sono oggi qui come figlio del popolo tedesco – disse – dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio». Ora il Vescovo di Roma latinoamericano, abituato a parlare con i gesti, ha scelto di non aggiungere altre parole. Vuole pregare in silenzio. Con lo stesso rispetto manifestato nel maggio 2014 al Memoriale dello Yad Vashem di Gerusalemme, quando con un gesto inatteso si è chinato a baciare la mano ad alcuni sopravvissuti dei lager. 

Una scelta, quella del silenzio, condivisa dalla comunità ebraica polacca e salutata ieri positivamente anche da Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha scritto al Papa: «Ho molto apprezzato la sua scelta di non intervenire con un discorso formale ma di concentrare l’emozione di questa visita, così significativa, in un lungo e intenso silenzio. Una forma di preghiera che tuona e che darà eco, ne sono certa, ai gridi e al dolore dei tanti bambini, mamme, giovani, uomini che da quella terra non hanno fatto ritorno. Una sua preghiera che assieme alle tante nostre rende quella terra di sofferenza luogo di culto».  

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