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Il riconoscimento facciale e l’eccezionale lezione spirituale del Creatore

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Anna O'Neil - pubblicato il 20/07/16
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Il modo in cui funziona il nostro cervello ci mostra che l’essere umano è molto di più della mera somma della sue parti

Sapevi che il cervello identifica il volto umano usando un centro diverso da quello che usa per riconoscere qualsiasi altro oggetto che incontra? L’ho scoperto a 16 anni, imparando contestualmente che l’elaborazione percettiva del volto del mio cervello non funziona. Ho una condizione chiamata prosopagnosia, altrimenti nota come cecità facciale.

Si è scoperto che i due centri cerebrali funzionano in modo molto diverso. La categoria di stimoli non-facciali fornisce dettagli e caratteristiche per formare un ricordo. Il centro di riconoscimento facciale, invece, non percepisce questi dettagli come elementi separati tra loro, ma come un insieme coerente.

 I cervelli come il mio vedono soltanto i dettagli: “occhi verdi, naso minuto, labbra sottili e un volto rotondo”. Anche voi vedete questi dettagli, ma li percepite come una cosa unica: un volto umano. Io non riesco a sintetizzare le varie parti in un’unica entità. Sono rimasto sbalordito quando mi hanno detto che la maggior parte delle persone riesce a “vedere” un volto completo nella propria mente.

Provo a riconoscere le persone come posso. Identifico le caratteristiche (“ha una barba, è alto e magro, ha una cattiva postura”), che diventano come degli “indizi”. Ma se cambia qualcosa – se ad esempio ti tagli i capelli all’improvviso o ti incontro in posti dove non mi aspetterei di incontrarti – sono nei guai. Ricordo ancora con imbarazzo quella volta in cui ho salutato ad alta voce mio zio scambiandolo per mio suocero; i due hanno capelli molto simili e ho visto l’uno a casa dell’altro. Sono esperienze che non si dimenticano, l’unica cosa da fare in questi casi è trovare una roccia sotto cui nascondersi.

Ragionando sulla mia cecità facciale, mi ha colpito il fatto che il cervello fisico vede le persone in modo così diverso da tutte le altre cose. Anche l’anima dovrebbe saper fare quello che il cervello fa (nella maggior parte dei casi) in modo automatico. Dovremmo approcciare la persona umana in modo diverso da come approcciamo ogni altra cosa.

Il cervello compie una netta distinzione tra una torta di mele e una persona. La prima è un mero insieme di caratteristiche sensoriali. Il cervello vede una cosa rotonda, marrone, calda e dolce e la chiama “torta”. Nel caso delle persone, il cervello registra le caratteristiche e le vede come una gestalt, qualcosa che è composto da più parti ma che è più grande della loro mera somma. Un volto non viene visto come un pastrocchio fatto di occhi, naso e bocca, ma come un volto che ha determinate caratteristiche. È una distinzione sottile ma fondamentale. E il volto umano è l’unica cosa che il nostro cervello analizza in questo modo.

Inizialmente sono rimasto sorpreso. “Guarda un po’! Il cervello fa in modo meccanico esattamente quello che dovrei fare per mia volontà!” Ma non dovrebbe sorprenderci affatto. La persona davanti a noi è infatti ben più della somma delle parti che la compongono, perché è un soggetto, non un oggetto. Il cervello la vede in modo diverso per lo stesso motivo per cui dovrebbe farlo anche la nostra anima. La persona è intrinsecamente diversa da qualsiasi altro oggetto, ed è giusto che sia percepita in modo diverso.

Non è una coincidenza riscontrare nel mondo fisico lo stesso principio che conosciamo per il mondo spirituale. La fonte di entrambi è il Creatore, e il Suo marchio è in ogni cosa che è stata creata.

Il cervello, attraverso un processo del quale non ci accorgiamo neanche, ci ricorda continuamente di ciò che sappiamo anche per rivelazione: la persona umana è una categoria radicalmente diversa da qualsiasi altra cosa al mondo.

Gli oggetti intorno a noi sono semplicemente ciò che appaiono, ma la persona umana non è soltanto la somma delle sue parti. È qualcosa di più grande.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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