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Parolin: Rispetto dei diritti umani  primo passo per risolvere le crisi

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Vatican Insider - pubblicato il 19/07/16
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Il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha preso parte in Vaticano, nella Casina Pio IV, alla presentazione dei risultati sanitari e scientifici dell’ospedale Bambino Gesù. Nell’occasione ha poi incontrato i giornalisti e ha risposto ad alcune domande.

Eminenza, oggi abbiamo sentito una storia di solidarietà: quella dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù. Eppure l’Europa e il mondo attraversano al contrario un momento molto difficile, denso di conflitti. Può dirci come valuta quanto sta avvenendo in Turchia?

«Meno male che ci sono anche queste occasioni in cui la speranza si riaccende perché ci sono anche persone che con grande dedizione si occupano degli altri e cercano di coltivare, di fare crescere la vita di fronte appunto a uno scenario mondiale che ci preoccupa molto perché purtroppo vediamo come aumentano gli odi, le divisioni, le contrapposizioni. Ed è sempre più difficile risolvere questi conflitti, sempre più difficile porvi mano e trattarli secondo criteri di dignità, di giustizia e di solidarietà».

C’è una preoccupazione particolare per la crisi turca?

«La nostra posizione oltre che esprimere la preoccupazione che è di tutta la comunità internazionale, è che l’attuale situazione possa essere affrontata e risolta secondo i criteri dei diritti umani e dello stato di diritto».

Pochi giorni fa il Papa ha detto: la pace in Siria è possibile, la soluzione è politica e non militare e ha proposto un governo di unità nazionale. Ritiene che questa sia una posizione che la Santa Sede può giocare sul piano diplomatico?

«Noi abbiamo sempre detto, fin dal principio, in questo come in altri conflitti, che l’unica soluzione possibile è una soluzione negoziata, politica. Le formule di questa soluzione evidentemente non siamo noi che dobbiamo indicarle, ci sono persone, ci sono sedi, ci sono istituzioni adatte e lo stanno anche facendo. Ma certamente noi insistiamo sul principio che solamente una soluzione pacifica e negoziata può evitare ulteriori sofferenze alla popolazione che già purtroppo ne ha sofferte tante ed è allo stremo; una soluzione negoziata può inoltre permettere una ricostruzione del Paese che sia duratura».

A Nizza abbiamo assistito a una strage, a un dramma: che cosa possiamo dire di fronte al diffondersi del fondamentalismo, un fenomeno per altro che non riguarda solo l’Europa ma tutto il Medio Oriente e parte dell’Africa?

«Di fronte a quello che è accaduto a Nizza evidentemente non ci sono parole, a mio parere si tratta di un’espressione di odio puro: andare così alla cieca contro queste persone che erano riunite per un momento di feste e massacrare bambini, anziani…veramente uno si chiede cosa stia succedendo. Dobbiamo lavorare tutti inseme per cercare di capire, prima di tutto, di comprendere le cause di questi fenomeni così drammatici e così dolorosi e poi cercare di superarli. L’intervento deve avvenire su più livelli, c’è bisogno sicuramente di un intervento di intelligence, necessario per la sicurezza, ma l’intervento deve essere soprattutto di tipo culturale per estirpare le radici di questi fenomeni ed aiutare i popoli e le persone ad accettarsi reciprocamente e a far sì – lo dice spesso il Papa e io credo sia un punto fondamentale – che le differenze che pure ci sono, diventino una fonte di arricchimento reciproco e non un’occasione di scontro e di lutto».

Possiamo dire che l’estensione dei diritti umani e civili sia una sfida chiave di questo momento storico così complicato?

«Sì, sì certamente. Ma è proprio, direi io, il punto di partenza: il rispetto della persona e della sua dignità. E’ quello che diciamo sempre, mettere al centro la persona. Che poi si declina in tutte queste varie situazioni, ma che deve essere davvero il punto di partenza, altrimenti non ne veniamo fuori, altrimenti aumenteranno queste situazioni di odio, violenza e divisioni».

Il Papa usa spesso un’espressione: costruire ponti. Resta questa una priorità…

«Certo, ma che non sia solo uno slogan, la mia paura è che tutto questo rimanga solo uno slogan, un’espressione, e non si traduca in operatività. Credo che abbiamo bisogno di operatività, che ciascuno al suo posto e secondo la sua responsabilità si metta a lottare e combattere contro queste derive e a costruire un mondo solidale».

La Gmg è nata 30 anni, fa il mondo è molto cambiato da allora, così come c’è un ricambio generazionale evidente. Secondo lei il modello delle Gmg può essere modificato, aggiornato a questi mutamenti o può rimanere lo stesso?

«In fin dei conti le cose essenziali rimangono le stesse, e cioè le finalità rimangono le medesime, resta la stessa la mappa di questo cammino che è appunto il Vangelo, rimane il cibo di questo cammino che è l’eucaristia. Certo cambiano gli scenari, e difatti un certo adattamento ad ogni nuovo scenario che si presenta c’è, sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista storico; credo che questi incontri che sono nati in un certo contesto, rimangono fondamentalmente validi nel senso di mettere insieme i giovani per degli obiettivi di bene e per aiutarli a sentire che non sono soli e possono lavorare insieme».

Ma potrebbe la Gmg essere anche occasione di dialogo e confronto, di incontro con i giovani del mondo, visto che è necessaria una formazione per fare questo? Si parla molto di altre religioni, per esempio di partecipanti che non sono cattolici…

«Certamente c’è anche questo, ma la giornata mondiale della gioventù, si gioca quando si torna a casa. E’ lì che si gioca la Gmg. Cioè c’è il momento della celebrazione, ma poi tutto questo si verifica nel momento in cui c’è un impegno serio da parte dei giovani che vi prendono parte a vivere quello che è stato seminato».
  

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