Il perché abbiamo usato gli hashtag #JeSuis e perché (forse) non li useremo piùNon sto parlando a nome di tutta la redazione di Cattonerd. Scrivo perché mi è stato chiesto dalla redazione di fare alcune doverose precisazioni, viste le polemiche associate al post facebook dedicato alle vittime di Orlando, dove ho scritto in calce gli hashtag “#JeSuisGay #JeSuisOrlando #JeSuisLHashtagChePreferitePercheSiamoTuttiFratelli”.
La prima volta che abbiamo usato questo tipo di hashtag fu per l’attentato alla rivista Charlie Hebdo. Da allora purtroppo la violenza non si è fermata, così come l’uso dell’hashtag che fece il giro del globo attraverso i social.
Abbiamo fatto bene o male ad allinearci al linguaggio comune per veicolare il nostro cordoglio? È solo una moda o qualcosa di più?
Cercherò di rispondere a queste domande, e spero nella vostra comprensione.
#JeSuis… è forse il prodotto più (cripto)cristiano che la cultura occidentale abbia creato recentemente
Il senso degli hashtag “JeSuis” non è “Sono te perché siamo uguali in tutto”, né tantomeno “Sono te perché la penso come te”.
Al contrario vuole dire che, davanti a qualcuno che vuole il tuo male, “sono te nonostante le differenze”, perché ti sono vicino al punto che la tua morte è la mia morte, e se potessi darei la vita per te… non vi ricorda niente?
Non è stato forse Dio, che pur non condividendo lo stile di vita dell’uomo, si è fatto uomo?
Ecco, non devo essere un vignettista blasfemo per scrivere #JeSuisCharlie, così come non devo frequentare gay bar, né approvare le battaglie del movimento LGBT per scrivere #JeSuisGay, né tantomeno devo essere Parigino, o cristiano per usare come foto profilo la Torre Eiffel o la “N” dell’alfabeto arabo.
Allo stesso modo Gesù, vero Dio, si è incarnato nell’essere umano per condividere con noi le sofferenze, e mostrarci che ci si può sacrificare per il prossimo senza essere d’accordo con lui (Galati 3,28), tanto che Gesù divenne vero uomo senza però essere macchiato dal peccato (Ebrei 4,15).
“Eh ma gli hashtag sono discriminatori e creano tragedie di seria A e di serie B”
Vero, in parte però. È vero che la nostra società mass-mediale tende a selezionare le tragedie dando più risalto ad alcune (di solito quelle che riguardano l’occidente e ad alcune categorie specifiche), mentre tace quasi completamente su stragi in giro per il mondo. Tutto vero, ma questo avviene a prescindere dagli hashtag che al massimo potenziano questa tendenza discriminatoria… ma siamo sicuri che esista un’alternativa?
Al mondo succedono tragedie ogni giorno, e per noi sarebbe impossibile stare sempre in lutto. Ci sono alcune che ci colpiscono più di altre, come è umano che sia.
Forse non è giusto, ma chiedervi di provare la stessa empatia per qualcosa che appartiene ad un mondo che percepite lontano da voi, in maniera identica alla realtà che sentite come vostra, sarebbe come obbligarvi ad andare a tutti i funerali della vostra città e non solo a quelli dei vostri cari. Capite bene che non vivreste più, così come sarebbe inumano obbligarvi a non partecipare al cordoglio di un vostro parente per un’astratta “coerenza”. Se poi ci aggiungiamo il rischio di assuefazione da lutto, il quadro è completo.
Il lato oscuro del #JeSuis
Il problema principale, senza giri di parole, è che esso è da una parte una moda facile, dall’altra uno strumento di propaganda. Nonostante le buone intenzioni e tutto l’impegno per trarvi il significato più bello, non posso esimermi dal citare Marshall McLuhan: “Il medium è il messaggio”. Questo ce lo dovremmo sempre ricordare nel momento in cui cediamo a patti con le esigenze comunicative per arrivare ai nostri destinatari.
Ci auguriamo che non vi siate dichiarati alla vostra amata su WhastApp. Nonostante sia un mezzo efficace per comunicazioni veloci (vi consiglio anche Telegram), qualsiasi chat non è adatta, né ad esternare i propri sentimenti, né per portare avanti discussioni.
Perché? Perché nei testi scritti il tono dello scritto lo “inventa” il lettore (magari un giorno approfondirò l’argomento, per il momento fidatevi o informatevi).
Allo stesso modo usare un mezzo che è diventato altro dal suo significato stretto è rischioso, se non dannoso. Dannoso perché si rischia che il proprio messaggio venga strumentalizzato, o semplicemente frainteso, proprio da quel lettore a cui si voleva arrivare tramite l’utilizzo del medium stesso. A che pro arrivare ovunque per non essere capiti, o peggio per alimentare il sentimento/ragionamento opposto che ci si era prefissati? Meglio allora arrivare a pochi con chiarezza che a tanti con confusione.
Conclusione
Mi scuso quindi con voi “cattonerds”, con voi lettori accidentali, e con i membri della redazione che hanno ritenuto inappropriato l’utilizzo degli hashtag #JeSuis da parte nostra.
Mi auguro che dopo questo editoriale abbiate capito meglio il mio punto di vista, nella coscienza di quanto sia difficile trattare dei temi così delicati, dove qualunque cosa fai o non fai ti tirano le pietre.
In futuro quasi certamente (a meno di una unanimità della redazione) non useremo più questo tipo di hashtag per non incorrere nelle polemiche generate da un medium che travisi il messaggio.