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Sovraffollamento e diritti violati a Lesbo: le grida di dolore di chi aspetta il Papa

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Vatican Insider - pubblicato il 02/07/16
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Sul muro d’ingresso qualcuno ha scritto: «Nessuno è illegale». Davanti al cancello chiuso, l’avvocato Emmanouil Chatzichalkias sta discutendo con i militari di guardia: «Ma scusate – dice – come faccio ad avere il foglio firmato dal mio assistito, se non mi fate entrare per farglielo firmare? Vi rendete conto che è assurdo?». Sono le 9.40 del mattino. Un poliziotto arriva giù a passo spedito, tirando per il braccio un giornalista. «Era fra gli ulivi!», urla agli altri. «Stava fotografando dal sentiero!». Gli prendono i documenti e il telefono. Cancellano ogni singola fotografia, prima di dire: «Se ti vediamo un’altra volta nei paraggi, ti arrestiamo».  

Questo è il nuovo «Detention Center» di Moria, sulla collina dolce dell’isola di Lesbo. E proprio qui, dove oggi nessuno riesce ad entrare, sabato mattina si presenterà Papa Francesco. Verrà a mangiare con i migranti che stanno oltre il filo spinato. Lo vedi scintillare al sole – nuovo di zecca – lungo tutto il perimetro. E chissà se lasceranno quella scritta sul muro. Chissà se la situazione sarà ancora così com’è oggi: tende sull’asfalto e fra i container, persone che dormono per terra, anche bambini. I posti sono 2500, i migranti oltre 3 mila. La burocrazia va sempre più lenta dei nuovi arrivi. Anche se il flusso si è molto ridotto: martedì sono sbarcate in tutto 75 persone. E la settimana precedente, la settimana dei primi respingenti decisi con il nuovo accordo fra Unione Europea e Turchia, c’è stato un giorno in cui per la prima volta in 15 mesi non è sbarcato nessuno. Difficile dire se sia un dato indicativo. Il mare era molto mosso. Ma è certo che la rotta Balcanica ormai è praticamente chiusa.  

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Adesso esiste questa nuova ineludibile frontiera d’Europa, il centro di Moria. Chiunque arrivi, deve passare da qui. Ma poi, una volta entrato, cosa succede? «Sono indignato» spiega l’avvocato Chatzichalkias. «Per adesso non viene rispettata la legge. Faccio un esempio. I pakistani stavano da una parte, al chiuso. Senza informazioni. Come se non potessero neanche provare a chiedere asilo politico: tagliati fuori. Ho dovuto insistere per poterli incontrare». Ed ecco un altro esempio dell’avvocato Chatzichalkias: «Sono venuto per conto di Reporters Sans Frontiers ad incontrare una giornalista afghana di nome Sonia Azizi. So che è detenuta all’interno, ma non la trovano. Per forza: ho verificato che spesso i nomi vengono registrati con lettere sbagliate. Mi occupo di un ragazzo che si chiama Said, ma il suo nome era registrato come Saeed. Non c’è organizzazione. Non c’è trasparenza. Non sono garantiti i diritti fondamentali. Là dentro ho visto anche un anziano in sedia a rotelle».  

Di notte qualcuno scappa da un buco nella rete, poi ritorna prima dell’alba. L’idea che tutti dovessero per forza stare dentro al centro – definito di «detenzione» proprio per questo motivo – si sta scontrando con il problema concreto dello spazio. Ecco perché, forse pensando all’arrivo di Papa Francesco, alcune famiglie siriane, già registrate, sono state trasferite in un campo aperto. Si chiama Karatepe, e faceva parte del precedente regime d’accoglienza. È tutto molto aleatorio. Lungo il filo spinato, le pecore spesso sono le uniche testimoni delle proteste che vanno in scena per motivi vari: uscire, poter telefonare, mangiare cibo diverso da quello che viene servito.  

François Bienfait è qui per noi, per tutti noi. Mandato dall’Europa a controllare che vengano rispettate le domande di asilo politico. «Che il caso di ogni singolo migrante sia trattato individualmente», dice per spiegare qual è la sua missione. Purtroppo fino ad adesso non sembra che stia succedendo. «Siamo in 60 dell’agenzia Easo – spiega Bienfait – ci occupiamo di supportare le richieste di protezione internazionale. Lavoriamo in stretto contatto con il governo greco. Ma abbiamo bisogno di rinforzi. Presto saremo in 120. E poi di più. L’obiettivo è dare una risposta a tutti entro due settimane».  

Ci sono 25 gradi, qualcuno fa il bagno. Stanno sgomberando il piccolo aeroporto di Mytilini. Per ragioni di sicurezza, nessun’auto può sostare nella zona. Stanno preparando l’arrivo del pontefice. Ci sarà il premier Alexis Tsipras ad accoglierlo. Andranno a deporre corone di fiori per i migranti annegati, nel tratto di mare in cui la Turchia si vede ad occhio nudo. Poi Papa Francesco varcherà il cancello del «detention center» di Moria, per verificare di persona come funziona questa nuova idea di Europa.  

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