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Nigeria, ancora vive le studentesse rapite da Boko Haram

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Vatican Insider - pubblicato il 02/07/16
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Sarebbero vive alcune delle studentesse rapite dagli estremisti di Boko Haram in Nigeria esattamente due anni fa, il 14 aprile 2014. La Cnn ha infatti mostrato un video, che si suppone risalga allo scorso dicembre, di una mamma che mentre si avvicina a un computer riconosce sua figlia e dice piangendo «Mia Saratu» pronunciandone il nome. Nella notte del 14 aprile 2014 gli estremisti di Boko Haram rapirono 276 studentesse di una scuola superiore statale a Chibok, nel nord della Nigeria. Alcune decine delle ragazze riuscirono a fuggire ma di 219 non si seppe più nulla.  

Si ipotizza che i terroristi islamici di Boko Haram abbiano rapito migliaia di persone negli ultimi anni, e i sequestri di massa hanno portato il gruppo all’attenzione del mondo. La campagna sui social network #BringBackOurGirls (Ridateci le nostre Ragazze) è arrivata fino alla Casa Bianca, utilizzata dalla first lady Michelle Obama. Il tentativo fallito del governo nigeriano e dell’esercito di liberare le studentesse aveva causato la condanna unanime del consesso internazionale e portato alla sconfitta del presidente Goodluck Jonathan nelle elezioni dello scorso anno. 

In un primo momento Jonathan aveva negato che ci fosse stato un rapimento di massa, ma la pressione internazionale presto lo aveva costretto ad accettare aiuto da altri Paesi nelle ricerche delle ragazze. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia fra gli altri hanno inviato consulenti, tra i quali negoziatori per la liberazione degli ostaggi. 

Il senatore Shehu Sani, coinvolto nelle trattative con Boko Haram sulle ragazze di Chibok, ha detto all’Associated Press di considerare il video credibile. Yakubu Nkeki, leader di un gruppo di sostegno ai genitori delle studentesse rapite, ha riferito di aver visto brevemente parte del video della Cnn, nel mezzo dei frequenti blackout che si verificano in Nigeria, e di aver riconosciuto alcune delle ragazze. «Stiamo tutte bene» dice una delle ragazze, enfatizzando la parola «tutte». Ci sono stati negli ultimi mesi timori che l’uso crescente di bambine o donne adulte per portare a termine attacchi suicidi con bombe potesse indicare la trasformazione degli ostaggi in armi, incluse le studentesse di Chibok. Timori in parte fugati il mese scorso quando una ragazza kamikaze, arresasi alle forze di sicurezza nel Camerun, aveva detto di provenire da Chibok, precisando però poi che si trattava di una città di un’area vicina, con lo stesso nome della città nigeriana 

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