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I vescovi europei e la Brexit: «È ora di pensare al futuro»

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Vatican Insider - pubblicato il 28/06/16
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«Il voto dei cittadini del Regno Unito va naturalmente rispettato, anche se da parte nostra lo troviamo estremamente deplorevole». Hanno atteso qualche giorno prima di esprimersi ufficialmente i vescovi accreditati presso l’Unione Europea, nonostante qualche loro collega, membro Comece, avesse anticipato a caldo già venerdì scorso il «forte sentimento di tristezza che accomuna i cattolici di qua e di là della Manica», come ha dichiarato l’arcivescovo di Strasburgo, monsignor Jean-Pierre Grallet, («un momento estremamente delicato per la costruzione di una comune identità europea dopo secoli di divisioni» ha scritto sul sito della Conferenza episcopale francese). 

Ma non è solo tristezza o dispiacere il sentimento dei vescovi europei, è di profonda contrarietà nei confronti di una scelta che non possono condividere: è questo che il cardinale Marx, presidente Comece, intende far passare con determinazione, dopo che per anni – e con un’intensificazione negli ultimi mesi con la questione migranti – come pastori della Chiesa cattolica hanno lavorato per educare le coscienze al bene comune, contro ogni forma di egoismo e chiusura. 

La loro convinzione è precisa: «L’Unione europea è un progetto di comunità e solidarietà» e ogni ritiro, consapevole, meditato e volontario, di un membro diventa «doloroso» e, come in una famiglia, non è privo di conseguenze per tutti gli altri. Perché «i legami culturali e spirituali esistenti tra i membri dovrebbero piuttosto essere coltivati, utilizzati e anche rafforzati in futuro»: sono qualcosa che viene da lontano nella storia e si può affermare che «l’Europa è di più dell’Unione Europea». 

Ma in questo momento non si può restare alle dichiarazioni di principio e la preoccupazione va innanzitutto alle prossime settimane quando inizieranno i negoziati per l’uscita di Londra dalla Ue, «un momento delicato e cruciale che richiede responsabilità e moderazione»: perché non abbiano a pagarne le conseguenze, come spesso accade, i più vulnerabili e deboli, quanti non hanno voce sia nel Regno Unito che nel resto dell’Unione. 

La Chiesa cattolica non perde tuttavia l’occasione di lanciare un messaggio di speranza e, soprattutto, un appello alla concretezza: «Dopo questo Referendum, è giunto il momento per l’Europa di guardare avanti e pensare al futuro». Il voto britannico, come hanno rilevato in tanti, può diventare l’occasione per rimettersi in discussione: l’Unione europea ha bisogno di un «nuovo inizio» e tutti noi siamo chiamati a «ripensare l’Europa». 

«Non si può costruire l’Europa senza i popoli» aveva detto monsignor Grallet con grande realismo e Marx aggiunge una pista da percorrere: «Ogni riflessione sul futuro sviluppo dell’Unione europea deve prevedere un ampio dibattito all’interno della società. L’Europa e la Ue sono una responsabilità di tutti, perché è solo “insieme” che i popoli europei saranno in grado di costruire un futuro migliore». 

La strada, per i vescovi, è quella dell’autentico «umanesimo europeo» come indicato da papa Francesco nel suo discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno (e ancora prima di fronte al Parlamento di Strasburgo il 25 novembre 2014). Per questo obiettivo la Chiesa riafferma ancora una volta la volontà di esserci per offrire il proprio contributo all’insegna non delle soluzioni tecniche, bensì dei valori. Di qui l’annuncio del Presidente Comece: in autunno, in previsione del 60° anniversario dei Trattati di Roma (25 marzo 1957), verrà organizzato un convegno per fornire contributi al dibattito sui valori fondanti dell’Unione. 

Ma allo stesso tempo dalla dichiarazione dei vescovi europei giunge anche l’invito a non rinchiudersi a riccio nell’autocommiserazione dell’accaduto. Insieme c’è tanto lavoro da compiere: i popoli d’Europa hanno una grande responsabilità e sono chiamati a lavorare fianco a fianco per risolvere i problemi degli abitanti più poveri del pianeta, salvaguardare il creato e mitigare il cambiamento climatico. Con il suo benessere e le sue politiche democratiche il nostro Continente rappresenta una terra che attrae come una calamita molte persone che bussano alle nostre porte. Nonostante il cambiamento, da 28 a 27 membri, essa continuerà a rappresentare un modello e a testimoniare la sua responsabilità morale nei confronti del resto del mondo. 

La conclusione non lascia adito a interpretazioni: se l’esito del Referendum era deplorevole, di fronte ai rigurgiti di nazionalismo che vengono alimentati in diverse parti del «vecchio Continente» i vescovi compatti dichiarano che «la Chiesa si opporrà con tutte le sue forze» perché «il nazionalismo non deve diventare una leva per alimentare esclusione, ostilità e discordia». 

Venerdì mattina, a esito definito, il cardinale Nichols aveva postato prima su Twitter e poi sul sito della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles le sue riflessioni: anche l’arcivescovo di Londra esprimeva tutta la sua preoccupazione «perché non venga a mancare il necessario supporto ai più vulnerabili, purtroppo facile bersaglio dei senza scrupoli» e soprattutto perché «nessuno di noi venga meno alle nostre migliori tradizioni di generosità e di accoglienza allo straniero». Sulla stessa linea anche il primate della Chiesa anglicana, Justin Welby: «Dobbiamo rimanere ospitali e compassionevoli, costruttori di ponti e non barriere». 

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