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La cuccia del filosofo…

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 27/06/16
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Un libro ripercorre gli itinerari teologico-filosofici interni all’opera decennale dei PeanutsChi scrive aveva vent’anni quando la notizia della morte di Charles Schulz interrompeva per sempre la produzione delle strisce, quelle di Charlie Brown e Linus, quelle di Lucy e Snoopy. Ne rimasi colpito, ne rimasi rattristato. Apprezzavo già quelle strisce piene di ironia, cinismo, immaginazione, speranza e vita vissuta. Apprezzavo la leggerezza con cui parlava di cose importanti, e ancor di più quell’ironia, che può nascere solo dall’autoironia, con cui i personaggi – tutti spicchi della personalità dell’Autore – di volta in volta si servivano di testi elevatissimi, a cominciare dalla Bibbia, per argomentare le loro azioni e le loro pretese. Ora ho tra le mani questo libricino edito da Ancora Edizioni dal titolo esaltante “La cuccia del filosofo. Snoopy & Co.” di Saverio Simonelli, e sono felice di vedere tanta attenzione dedicata “ad un tizio con un cane stravagante” come qualcuno lo definì una volta:

A più di quindici anni dalla sua scomparsa e dopo decine e decine di riletture, siamo ormai perfettamente in grado di dire che i fumetti di Schulz sono comparabili all’opera omnia di un grande classico alla quale nulla concretamente si può aggiungere, ma dalla quale a ogni lettura emerge qualcosa che dice tanto di noi. Ecco che allora quel mondo, proprio perché lo consideriamo come un tutt’uno definitivamente archiviato, paradossalmente diventa un po’ più nostro se ne prendiamo in prestito qualche scheggia, un assaggino, una porzione utile per la nostra personale dispensa di sogni.
Succede così il miracolo che a volte l’immaginazione di qualcuno riesce a realizzare. Quel miracolo per cui un frammento di vita di una persona, divenuto parola dentro un racconto o una semplice illustrazione o, come nel nostro caso, in quattro riquadri di una pagina di giornale, combacia perfettamente con quella sensazione, quel sentimento, quell’idea che noi avevamo dentro la coscienza perché l’avevamo vissuta chissà quando e dove, e che non potevamo o sapevamo esprimere. Schulz si conferma come classico quando ci viene in mente di dire, leggendo quella cosa piccola e letterariamente fragile che è il fumetto: «Toh, Charlie Brown ha detto proprio quello che avevo pensato io in quella situazione, prima di un appuntamento importante, prima di guardare negli occhi la persona che non conoscevo ma già mi attirava, ha dato forma a quella paura al mattino prima di affrontare una giornata troppo impegnativa, e pure quel diavoletto di Snoopy ha pensato (perché Snoopy ci parla pensando, ma questo lo vedremo più avanti) esattamente quello che avevo pensato io prima dell’esame o dell’interrogazione a scuola, e Linus, quell’intellettualino un po’saccente ma assolutamente candido, ha bisogno di portare qualcosa di sé bambino nella vita adulta esattamente come ne abbiamo bisogno tutti noi».

Da amante dei cani quali sono, come non potermi affezionare ad un cane che con coraggio cerca il suo posto nella Creazione e nella Scrittura, per sé e per tutti gli altri cagnolini, vero e proprio alter ego del credente che si interroga e cerca risposte o si stizzisce dietro a quelle che non capisce?

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Quando poi Charlie Brown lo sorprende di fronte al frigo aperto e, citandogli addirittura il settimo comandamento con tanto di Bibbia alla mano, gli dice con tono accusatorio che non ha diritto di sfamarsi a piacimento, Snoopy, lui, non fa una piega e replica con un passo del Deuteronomio: «Non mettere la museruola al bue che sta trebbiando». «Non vedo quale grano tu stia trebbiando», ribatte il padrone. «Sta cercando una scappatoia», ridacchia con ostentata superiorità il bracchetto. Insomma, il bracchetto dimostra una certa dimestichezza nell’attingere al Sacro Testo, ma quali potrebbero essere, più in generale, le caratteristiche e i contenuti di un’ipotetica Summa canina theologiae?

Ma perché dare tutto questo spazio ad un cane? La Bibbia restituisce ben pochi riferimenti canini, non è certo un animale al centro degli esempi scritturistici. In un certo senso si direbbe che Schulz ha anticipato Papa Francesco, scegliendo un personaggio che ontologicamente è ai margini della Salvezza: un animale. A lui attribuisce sentimenti umanissimi, quali il dubbio e lo scetticismo, ma senza quel radicalismo ottuso che scivola nell’ateismo. No in Snoopy, ma non solo lui sia chiaro, c’è il prototipo del credente in ricerca:

Schulz è stato anche predicatore ambulante della americanissima Church of God, che ha frequentato molto negli anni della giovinezza e della prima maturità fino a rivestire per un certo tempo anche un ruolo importante nella congregazione, anche se poi la sua religiosità è diventata più problematica, ripiegando in una dimensione intima e attraversata da dubbi e incertezze. E allora, ecco l’idea: un non umano che sa esprimere in modo umanissimo e quindi sempre fallibile sia l’anelito verso il divino sia l’incredulità frutto dei limiti della creatura. Cosa c’è allora di più adatto di un bracchetto che, almeno stando all’ortodossia, privo com’è dell’anima ha solo una partecipazione parziale e incerta al piano di salvezza universale?

Snoopy è l’immediatezza, la risposta incondizionata a un invito spontaneo alla letizia. Una condizione in cui normalmente ci si ritrova al massimo da bambini, prima che qualcuno venga a spegnere quella scintilla di spiritualità naturale che va a braccetto con la curiosità. Sarà un caso ma, come ci ricorda il Simonelli, Snoopy ha pressapoco la stessa funzione che ha il cucciolo “Capriccio” per Filippo Neri, santo dell’ironia, che non voleva emozionarsi troppo durante le sue estasi mistiche e, per restare con i piedi per terra, accarezzava la bestiola. Ricordiamolo una volta di più: l’ironia è ciò che spezza gli eccessi di pathos, in pratica – specie quando rivolta verso se stessi – un qualche tipo di umiltà. Roba da santi per capirci. Il piccolo bracchetto è anche metafora della capacità dell’uomo che crede nei suoi mezzi di essere qualunque cosa, di poter riuscire sempre. Un credente degno di questo nome conosce i suoi limiti, ma sa che con il Signore è possibile trascenderli e che non si è relegati ad una cosa sola. Snoopy sarà campione di ogni sport, sarà scrittore, pilota di caccia durante la Prima Guerra Mondiale, il capo scout e cento altre cose ancora negli oltre 50 anni di strisce che lo hanno visto evolversi più di qualunque altro personaggio, segno inequivocabile della identificazione tra lui e il suo Autore.

Nella prefazione al primo volume dei Peanuts edito nel nostro Paese, Umberto Eco prese un solenne abbaglio nel definire il nostro bracchetto. Leggiamo direttamente il suo testo, datato 1963: «Antistrofe continua ai patemi d’animo, il cane Snoopy porta al massimo grado la sindrome di non adattamento».

Siamo abbastanza sicuri che Eco, venuto a mancare pochi mesi fa, si sia riconciliato con il bracchetto e ne abbia compreso l’atipica grandezza: quella di chi non si prende mai troppo sul serio.

«Fare in modo che il cane della sua striscia pensasse a voce alta sul tetto della sua cuccia fu una vera rivoluzione, perché solo un genio poteva parlare per se stesso e far sì che il mondo credesse di ascoltare la voce del proprio cuore» (Hank Ketcham).

C’è un mondo di tenerezza, di vitalità, di bellezza, di pietà, di debolezza mai vissuta con disprezzo e ci sono i bambini. In Schulz non ci sono mai gli adulti, sempre voci fuori campo, sempre al di fuori dello sguardo del lettore, ma non dalle interazioni dei piccoli protagonisti. Non c’è un disincantato scenario da“Signore delle mosche”, ma un mettersi da parte per lasciare la scena a loro, alle loro domande,alle loro fantasie. Leggere le strisce di Charlie Brown e degli altri alla luce di queste poche pagine ben curate, vi farà bene, le apprezzerete di più, le ricorderete con maggiore affetto. E non dimenticatevi di dare da mangiare al cane…

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