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Brexit, i cattolici bocciano l’uscita dalla Ue

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 24/06/16
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“La sconfitta del bene comune”. Ecco cosa accade per gli italianiLa Brexit ha vinto: la Commissione elettorale della Gran Bretagna conferma la vittoria dei Leave con il 51,9% dei voti e il ‘Remain’ il 48,1%. Per la Brexit hanno votato 17.410.742 elettori mentre per restare nell’Ue i voti sono stati 16.141.241.

L’affluenza al referendum viene fissata al 72,2%. Nove delle 12 macroaree che compongono il Regno Unito hanno votato in favore di Leave e contro l’Ue. Remain e’ prevalso soltanto in Scozia, a Londra e in Irlanda del Nord.

Preso atto del risultato, David Cameron ha annunciato le sue dimissioni da premier britannico parlando davanti a Downing Street. Ha assicurato che sarà ancora primo ministro per i prossimi tre mesi e che verrà organizzata in ottobre l’elezione del nuovo leader del partito conservatore.

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COSA ACCADE ORA?

Da 2 a 10 anni

Le norme europee dicono che servono due anni per sciogliere tutti gli obblighi contrattuali prima che un Paese possa ufficialmente uscire dall’Unione. Ma il negoziato per stabilire un nuovo rapporto tra Bruxelles e Londra indipendente potrebbe durare molto di più. Tusk ha avvertito che per ottenere il via libera di tutti i 27 Stati restanti, più il Parlamento europeo, potrebbero volerci altri cinque anni, per un totale di sette. A febbraio il governo di Londra ha detto che per sistemare tutto potrebbero volerci 10 anni.

Si cerca una corsia preferenziale – I promotori del ‘Leave’ mirano a un negoziato veloce e a lasciare l’unione entro fine 2019 (Tgcom.it, 24 giugno).

Posti di lavoro

Secondo molti analisti sono in gioco 3 milioni di posti di lavoro. L’economia britannica rappresenta il 17 per cento della potenza economica della Ue. Londra dovra’ rinegoziare 35 accordi commerciali con altrettanti Paesi mentre nell’attesa gli interscambi obbedira’ alle regole del Wto. Ma i cambiamenti saranno epocali: i pensionati britannici residenti all’estero perderanno i vantaggi garantiti ai membri della Ue, primo fra tutti l’assistenza sanitaria gratuita (Avvenire 24 giugno).

Cambio euro-sterlina

Gli economisti si aspettano una svalutazione della sterlina rispetto alle altre monete: per gli stranieri sarà più conveniente andare a fare le vacanze a Londra e gli inglesi pagheranno un po’ di più i prodotti di importazione.

Italiani in Gran Bretagna

Sono 600.000 gli italiani che lavorano in Gran Bretagna.

1) Chi paga le tasse da più di 5 anni in Gran Bretagna può richiedere un permesso di residenza e la cittadinanza. Molti lo hanno già fatto, prendendo la doppia cittadinanza, britannica oltre che italiana, come consente la legge. Molti di più verosimilmente lo faranno ora, ingolfando la burocrazia del ministero degli Interni britannico: il procedimento, attualmente, richiede tempo e denaro, un anno e almeno mille sterline.

2) Chi non intende restare per sempre, o comunque non ha fatto piani precisi per il domani, potrà probabilmente ottenere un visto di lavoro, da rinnovare ogni due-tre o anche cinque anni, presentando una richiesta da parte del proprio datore di lavoro: come si fa, per esempio, per lavorare negli Stati Uniti (La Repubblica 24 giugno).

Italiani che vogliono emigrare

Per chi vuole emigrare nel Regno Unito, in futuro, le cose saranno più complicate. Tanti ragazzi italiani non potranno più venire a Londra, trovare una sistemazione provvisoria e mettersi a cercare un lavoro. Il lavoro bisognerà cercarlo e ottenerlo prima di partire. Fare il free-lance in Inghilterra, in qualunque campo, diventerà più difficile

Italiani turisti

Quelli che ci vengono per turismo. Non cambierà niente: si continuerà a poter andare in vacanza a Londra. Sembra inconcepibile che, almeno per paesi come l’Italia, la Gran Bretagna richieda un visto turistico, anche perché altrimenti pure gli inglesi avrebbero bisogno di un visto per andare in vacanza in Italia. Molti paesi al di fuori dell’Unione Europea, del resto, possono visitare per turismo la Gran Bretagna senza un visto. Gli italiani andranno in vacanza a Londra come vanno negli Stati Uniti e in tanti altri posti: senza visto.

 

Gli umori quest’oggi in Rete

Italiani che esportano

Molte aziende italiane che esportano nel Regno Unito dovranno fare i conti con i dazi doganali che renderanno i nostri prodotti meno competitivi, così come per noi diventeranno più cari i farmaci, i servizi finanziari, le tecnologie per le energie rinnovabili e le automobili made in Uk (Wired.it, 24 giugno).

IL “REMAIN” DEL VATICANO

La posizione della Chiesa su Brexit era nota da tempo. E in queste ore si rimarca la linea chiara lanciata da monsignor Paul Gallagher, “ministro degli esteri” vaticano all’emittente ITV (19 gennaio). «La Santa Sede rispetta la decisione finale del popolo britannico – ha detto Gallagher – perché è l’elettorato britannico a dover decidere. Ma pensiamo che lo vedremmo come un qualcosa che non andrà a rendere più forte l’Europa». E poi incalzato dalla giornalista, Gallagher ha aggiunto: «Meglio dentro che fuori» (Agensir, 19 gennaio).

L’APPELLO DELLE CHIESE

Non è un caso che a poche settimane dal voto, le Chiese (anglicana, cattolica, evangelica) e leader delle comunità islamiche ed ebraiche, abbiano invitato alla riflessione e alla responsabilità, in una lettera pubblicata sul periodico The Observer e rilanciata dal giornale francese La Vie, hanno sostenuto la necessità di continuare a lavorare per l’unità del «Vecchio Continente»: «La fede ci chiede di costruire ponti e integrare – si legge nell’appello – senza isolare e costruire barriere» (Aleteia, 5 giugno).

“ACCUSE ANTI UE INFONDATE”

Un appello inascoltato. L’arcivescovo della Chiesa d’Inghilterra, Christopher Hill, in qualità di vescovo anglicano inglese e presidente della Conferenza delle Chiese europee (Cec), si è espresso in relazione all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. «Non ci sono dubbi – ha commentato il vescovo – che ci sono questioni reali da discutere e non solo nel Regno Unito ma in molti Stati membri della Ue. Ma molte delle accuse, in particolare quelle relative alla questione migrazione che sono state determinanti nel Referendum, non hanno alcun rapporto con la realtà e il tono – almeno nel Regno Unito – è stato spesso più isterico che razionale, soprattutto tra i partiti populisti e in alcuni organi di stampa» (Il Faro di Roma, 24 giugno).

“ORA RISPETTO RECIPROCO”

Realista la posizione dei vescovi cattolici di Inghilterra e Galles. In una nota, hanno spiegato che la decisione britannica di lasciare l’Unione europea «deve essere rispettata», e che, dopo una «campagna spesso rancorosa», tutti dovrebbero lavorare per riguadagnare un «rispetto reciproco e di civiltà», a prescindere dalle «proprie opinioni» (Catholic Herald, 24 giugno).

Il cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha sottolineato che Brexit dà inizio a «un nuovo corso che sarà esigente nei confronti di tutti» e che il popolo britannico deve ora «lavorare sodo per dimostrare che siamo buoni vicini», «deciso a dare un contributo» agli «sforzi internazionali per far fronte ai problemi del mondo».

“GARANTIRE IL BENE DEL REGNO UNITO”

Nel pomeriggio anche Papa Francesco, in viaggio verso l’Armenia, si è espresso sul Brexit, in sintonia con la posizione ufficiale dei vescovi inglesi: «E’ stata la volontà espressa del popolo e questo ci richiede a tutti noi una grande responsabilità per garantire il bene del popolo del Regno Unito e anche il bene e la convivenza di tutto il Continente europeo», ha detto il Papa.

“RISULTATO EGOISTICO”

Il teologo domenicano Timothy Radcliffe, una delle figure cattoliche più eminenti del Regno Unito rincara: «Ciascuno ha pensato soltanto al proprio interesse personale, egoistico. Le classi dirigenti hanno fatto così e anche i cittadini. E il terribile omicidio della meravigliosa parlamentare Jo Cox ha messo in luce il divario tra l’establishment e la gente, impoverita e privata di sogni» (Famiglia Cristiana, 24 giugno).

“PREVALSI I NAZIONALISMI”

Deluso monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e vicepresidente della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea: «I nostri Padri fondatori dopo le due guerre mondiali che hanno dilaniato l’Europa» manifestavano «quel desiderio di mettersi insieme, di lavorare insieme… Credo che davvero sia venuta meno questa ispirazione di fondo con il rischio di fare emergere sempre di più gli aspetti nazionalistici. Quindi vedo questo fatto in modo molto preoccupante, proprio perché anche culturalmente vi è il rischio di un ritornare a una Storia che pensavamo fosse già finita».

“SCELTA NON MEDITATA”

Duro l’editorialista Andrea Lavazza su Avvenire (24 giugno): «Se il progetto europeo si è costruito nel tempo, con leader lungimiranti e capacità di sacrificare egoismi di corto respiro, il referendum britannico ci dice che il ricorso alla democrazia diretta in questa forma e su questi temi può non essere una buona via».

«La gente deve decidere, certo, e il voto va rispettato. Ma – prosegue Lavazza – non sempre avremo scelte meditate e accorte. La retorica della paura ha facilmente buon gioco, nel segreto dell’urna tanti inglesi hanno pensato più al loro cortile che al loro Paese. E potrebbero presto pentirsene. Tutti però dobbiamo oggi fare i conti con i pesanti effetti della loro croce apposta sulla casella “Leave”».

“COSI’ HANNO RAGIONATO GLI INGLESI”

Tempi.it (24 giugno), per capire cosa s’aggirasse nelle menti inglesi, rilancia l’opinione del filosofo conservatore Roger Scruton durante una recente conferenza a Tilburg, in Olanda: «Noi britannici ci sentiamo europei, ma l’Unione Europea non rappresenta l’Europa che siamo e amiamo. Il Regno Unito non è stato occupato dai nazisti come gli altri paesi europei, e questo implica una differenza psicologica profonda. Noi non ce la sentiamo di devolvere sovranità a un potere sovranazionale dopo che abbiamo lottato tanto per conservarla, vincendo con tante sofferenze».

Un’altra decisiva questione, sostiene Scruton, è quella dell’immigrazione: «Siamo sotto assedio a motivo della clausola europea sulla libertà di movimento e soggiorno delle persone. Questa norma fa parte dei trattati e non si può togliere, ed è ciò a cui i britannici obiettano di più: abbiamo perso il controllo delle nostre frontiere, grandi quantità di persone provenienti dall’Europa dell’Est competono con noi per il lavoro e la casa. La gente si chiede che cosa significa sovranità nazionale, se abbiamo perso il controllo delle nostre frontiere. Nel suo entusiasmo per dissolvere i confini, l’Unione Europea è rimasta senza protezione dalle migrazioni di massa».

“UNA RISPOSTA ALLA SOVRANITA’ UE”

Anche il Sussidiario.net (24 giugno) legge il risultato come una risposta contro la sovranità Ue. «L’unificazione dell’Europa a trazione tedesca ha spaccato in due l’Europa stessa. La vittoria del “leave” dice questo: che uno dei popoli-guida del Vecchio Mondo non si riconosce nell’impostazione data al processo di unione economica e politica del Continente da un’eurocrazia prona – con 11 direttori generali su 19 di nazionalità tedesca a Bruxelles – alla visione di Berlino. Un’eurocrazia non eletta, pilotata dai banchieri centrali e, peggio ancora, da pochi grandi tycoon della grande finanzia internazionale, paradossalmente compresa quella britannica».

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