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Perché ho lasciato il Wall Street Journal per il Bronx

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Miriam Diez Bosch - Aleteia - pubblicato il 23/06/16
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Parla Jose Healey, ex giornalista del prestigioso quotidiano di New YorkJose Healey, messicano, ha rinunciato a Manhattan e alla sua promettente carriera nel prestigioso quotidiano Wall Street Jornal per un’altra vita nel quartiere newyorkese del Bronx.

La sua vita ha subìto una svolta. E non solo la sua. Il Crotona Centre riscatta bambini di strada e propone loro una vita diversa. Ecco come ci riesce.

Perché ha lasciato il WSJ e se ne è andato nel Bronx?

La verità è che ho sempre avuto un grande desiderio di aiutare i giovani, perché sono il futuro della società.

Ad essere sincero, il mio sogno, da giornalista e aspirante al giornalismo, è sempre stato quello di lavorare al Wall Street Journal. Ci sono riuscito. Quasi non ci credevo. È un quotidiano molto buono, ed è difficile entrarvi.

Ma mi interessava avere un impatto più diretto sui giovani. È ovvio che il giornalismo ha un impatto sociale impressionante, ma si è presentata questa opportunità di avere un impatto più diretto sui giovani e di poter formare i bambini in una zona, il Bronx, in cui hanno molti svantaggi.

Le piacerebbe che qualcuno dei ragazzi del Bronx lavorasse al Wall Street Journal?

Ne sarei felicissimo. E il bello di questo tipo di lavoro è anche questo. A volte potrei pensare di aver perso l’opportunità di essere un grande giornalista, un reporter o un corrispondente, ma nel corso degli anni si possono formare molti giornalisti, e con il favore di Dio e con lo sforzo che mettiamo possono arrivare lontano, anche ai migliori quotidiani degli Stati Uniti e del mondo.

Non si può essere una brava persona in un quotidiano?

La mia decisione non è stata tanto un modo per ripulirmi la coscienza o dire “Senti, sono nel mondo del giornalismo che è brutto, o ha tanti vizi, e ora ho bisogno di fare qualcosa per la comunità”. No.

Il giornalismo è anche un veicolo per il bene, per influire positivamente sulla società. Lavorare nel Bronx con i bambini è una cosa che mi ha sempre affascinato.

Quello che succede qui nel Bronx è che entrambi i genitori lavorano, a volte il padre non è presente o è stato deportato o ha dovuto andare via. Molti provengono dalla Repubblica Dominicana.

La storia delle bande di strada è un mito dei film?

C’è la cattiva influenza delle bande, chiamate gang, o gente che vende droga e si vede mentre cammina nella zona, allo scoperto, non è nascosta.

C’è un’altra opzione. Possiamo insegnare ai bambini che possono avere una vita molto più felice seguendo il buon cammino delle virtù e dei valori, il cammino del bene.

Non ci chiudiamo ad alcuna religione, accettiamo bambini di qualsiasi credo, non ci limitiamo solo ai cattolici.

Pregare a Manhattan è lo stesso che farlo nel Bronx?

Dio è lo stesso, e prego nello stesso modo a Manhattan e nel Bronx. Forse nel Bronx prego di più, perché mi rendo conto che ho bisogno di stare più vicino a Dio per aiutare la gente che sto assistendo. Anche a Manhattan assisto persone, ma qui ci sono cose più difficili.

Il papa delle periferie la attira?

Questo è un papa che ha enfatizzato molto il fatto di andare ad aiutare la gente povera, di andare verso la gente, verso le periferie, e poi, al di sopra di tutto questo, c’è l’Anno della Misericordia. Per me è quasi come una conferma della mia decisione, del fatto che mi trovo nel posto giusto. Mi piace moltissimo questa idea, e sento che in qualche modo mi sento più motivato a stare qui, sostenuto dal papa e sapendo che sta pregando per noi.

Cos’è la misericordia in un contesto come il Bronx?

Quando penso alla misericordia mi piace pensare alla bontà di Dio. Per quanto possiamo essere miserabili, piccoli, limitati, con difetti, abbiamo un padre che ci ama più di tutte le madri del mondo.

Per me la misericordia è pensare che Dio è lì per aiutarmi e per fare ciò che Egli vuole, e ogni volta che cerco di fare il meglio, in questo caso per aiutare gli altri e vivere una vita cristiana, Dio, mio padre, è lì, ad appoggiarmi in tutto.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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