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Armenia, il Papa vuol ricordare il “Grande Male”. Con la preghiera

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Vatican Insider - pubblicato il 23/06/16
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Il Papa parte venerdì 24 giugno per l’Armenia, per un viaggio che ha un profondo significato ecumenico. Il Vescovo di Roma non abiterà nella sede della nunziatura o presso l’arcivescovo della Chiesa cattolica armena, ma sarà ospitato dal Catholicos Karekin II, nella residenza di Etchmiadzin, il «Vaticano» della Chiesa apostolica armena. Proprio come ha fatto Francesco, che ha ospitato alcuni capi di Chiese sorelle apostoliche e dell’ortodossia a Santa Marta, dove risiede e il vivere sotto lo stesso tetto per qualche giorno è stata l’occasione non soltanto per dialoghi e scambi informali, ma anche per momenti di preghiera. L’ecumenismo, il dialogo tra le Chiese, è quanto mai importante non soltanto per le Chiese stesse, all’interno, ma anche per la testimonianza nei confronti di un mondo lacerato da odio e conflitti. E il legame che unisce cattolici e armeni apostolici è davvero stretto, intessuto di amicizia e collaborazione: la Chiesa guidata dal Catholicos è quella con la quale prima di altre i cattolici potrebbero celebrare insieme l’eucaristia. 

È dunque importante partire da questo significato del viaggio per comprendere come il Pontefice e più in generale la Santa Sede non vogliano trasformare il pellegrinaggio in Armenia in un’occasione per riaccendere e rinfocolare polemiche e scontri politico-diplomatici. Quando era arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio ha coltivato un’amicizia solida con la comunità armena in Argentina: ha celebrato gli anniversari del genocidio chiedendo che il «Grande Male» venisse riconosciuto e se ne facesse memoria.  

Nell’aprile 2015, Francesco volle celebrare in basilica di San Pietro, alla presenza del presidente armeno e del Catholicos, il centenario dei massacri perpetrati contro il popolo dell’Armenia. E in quella occasione, pur citando le parole contenute nella dichiarazione congiunta firmata da Giovanni Paolo II e da Karekin II nel 2001, aveva definito quello armeno come «il primo genocidio del XX secolo». Un gesto, quello della celebrazione in Vaticano e delle parole usate dal Pontefice, che aveva provocato forti tensioni con la Turchia. 

Benedetto XVI, al contrario di Papa Wojtyla, non usò mai la parola «genocidio», e ricevendo Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia degli Armeni, accompagnato dai componenti del Sinodo patriarcale, il 20 marzo 2006 preferì utilizzare il nome «tristemente significativo di Metz Yeghèrn, il “Grande Male”».  

Quando venne reso pubblico il programma del viaggio di Francesco in Armenia, venne annunciata una Dichiarazione comune che Karekin II e il Papa avrebbero dovuto firmare nel pomeriggio di domenica 26 giugno a Etchmiadzin.  

Ma durante il briefing con i giornalisti sul viaggio, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha spiegato che «attualmente» quella Dichiarazione «non è prevista». Probabilmente tra Santa Sede e Catholicossato armeno non si è ancora trovato un accordo sul testo che riguarda proprio il «Grande Male». A questo proposito sono rivelatrici delle aspettative armene le parole usate dal ministro degli Esteri dell’Armenia Garen Nazarian, il quale, intervistato da Zenit ha ricordato che celebrando il centenario Papa Francesco «in un certo senso, ha invitato la Turchia a fare i conti con il proprio passato». 

Nell’ultima settimana peraltro il Vescovo di Roma ha avuto modo di esprimersi proprio sull’uso del termine «genocidio». Sabato 18 giugno, dialogando a lungo con i giovani di Villa Nazareth, Francesco in una risposta ha osservato: «È il destino dei cristiani: la testimonianza – riprendo la parola testimonianza – fino a situazioni difficili. A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, a me non piace quando si parla di un genocidio dei cristiani, per esempio nel Medio Oriente: questo è un riduzionismo, è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio». È vero che l’esempio non era riferito all’Armenia – dove i massacri ebbero proporzioni impressionanti, dato che le vittime furono un milione e mezzo, e furono perpetrati non soltanto per motivazioni religiose – ma piuttosto al Medio Oriente e a quanto sta accadendo con l’Isis. 

In ogni caso quelle parole del Papa sono apparse significative dell’intenzione di celebrare il martirio dei cristiani e il «Grande Male» – espressione peraltro più comunemente usata dagli stessi armeni e certamente non meno forte di «genocidio» – ma senza offrire lo spunto per trasformare un pellegrinaggio di amicizia alle radici della comune fede cristiana, un viaggio ecumenico il cui scopo è far brillare davanti al mondo una testimonianza di dialogo, di collaborazione e di unità, in qualcosa di diverso. Cioè in un focolaio di nuove tensioni internazionali in tempi nei quali ce ne sono già abbastanza e di gravissime. La presenza di Francesco in preghiera al Tzitzernakaberd Memorial Complex, il memoriale del «Grande Male» la mattina di sabato 25 giugno è già densissima di significato e sarà un segno e un invito a fare memoria perché gli orrori disumani non si ripetano mai più.  

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