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“Noi, la chiesa algerina che vive insieme con i musulmani”

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Vatican Insider - pubblicato il 21/06/16
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“Le nostre sono Chiese africane e ne siamo felici, consideriamo una grazia che la testimonianza del Vangelo sia resa sempre più da fratelli e sorelle provenienti da Sud: loro che avevano ricevuto il Vangelo dai missionari, oggi arrivano nei nostri Paesi a portarne testimonianza!”. Quello di mons. Paul Desfarges, che parla così a Vatican Insider, è un compito a cui i numeri non rendono giustizia: vescovo di Costantina e Ippona, la diocesi di S. Agostino, in Algeria, è tra i pastori di una Chiesa dove i fedeli sono meno dell’1% della popolazione dello Stato.  

La situazione si ripete, sostanzialmente identica, in tutta la regione nordafricana. La grande maggioranza dei cristiani sono stranieri: europei, ma anche asiatici (ad esempio dalle Filippine o dalla Corea) e sudamericani. Spesso lavorano nei cantieri o per le grandi imprese internazionali, come quelle che, proprio in Algeria si occupano dell’estrazione e della distribuzione del gas naturale. Pochi fedeli, dunque, ma non isolati: “Siamo le Chiese del ‘vivere insieme’ ai musulmani”, sintetizza il vescovo, che presiede anche la conferenza episcopale regionale del Nordafrica (Cerna). Non nasconde le difficoltà, come quelle che talvolta incontrano, nelle loro comunità d’origine, i pochi convertiti d’origine locale, ma sottolinea anche che la risposta rimane quella dell’apertura. “Come Chiesa cattolica, non cerchiamo di convertire – racconta, ricordando che il proselitismo è vietato per legge nel Paese – ma accogliamo chi compie un percorso personale e bussa alla nostra porta, mostrando di aver fatto un’esperienza spirituale profonda”. 

Quella dell’accoglienza e della convivenza è, del resto, da tempo una delle caratteristiche delle Chiese nordafricane. Realtà che già da anni vedono aumentare al loro interno il numero di quanti provengono dalle regioni a sud del Sahara: studenti, prima, poi sacerdoti, religiosi e suore. Infine, i migranti: quelli in viaggio verso l’Europa; quelli la cui tappa, in attesa di avere il denaro necessario a proseguire, si prolunga; quelli che, in alcuni casi, prendono in considerazione l’idea di insediarsi nel Paese, come nota dall’Algeria lo stesso mons. Desfarges. Il loro passaggio e la loro presenza non possono lasciare indifferenti i cristiani: “Sopportano delle condizioni durissime, a volte inumane, durante il loro viaggio e quando arrivano qui trovano nelle nostre chiese un luogo dove tornare a vivere nella loro dignità di uomini e donne”, continua il vescovo.  

Anche attraverso il volto di queste persone, dunque, le Chiese del Nordafrica s’impegnano a “riscoprire la dimensione africana”, raccogliendo l’invito dell’ultima assemblea della Cerna, che si è svolta all’inizio di aprile. “Non siamo organizzazioni non governative, i nostri mezzi sono limitati – specifica il vescovo di Costantina – ma possiamo avere l’approccio del Buon Samaritano del Vangelo: accogliere chi soffre, assisterlo nelle prime necessità e quando è possibile anche oltre, ad esempio permettendo ai figli dei migranti di frequentare le scuole”. Un ruolo, quindi, non politico, ma che non impedisce ai vescovi di esprimere preoccupazione per come la questione migratoria è gestita a livello europeo: “Si esternalizzano le frontiere, che vengono ‘spostate’ fuori d’Europa per fermare le migrazioni: è un’ingiustizia anche per i nostri Paesi, che si trovano a dover gestire un movimento di popolazioni che non vogliono restare”, riassume mons. Desfarges 

Diverso, secondo il presule, sarebbe l’atteggiamento da tenere: “Bisogna rendersi conto che la migrazione non è solo quella che ha come destinazione l’Europa, anche se solo di quella si parla. – dice – La migrazione è un fenomeno mondiale, che dovrebbe portare tutti gli Stati a chiedersi prima di tutto come permettere alle persone di migrare, perché in qualche modo è un diritto, e poi come far sì che non siano costrette a farlo a causa di condizioni sociali che rendono la vita impossibile in alcuni Paesi”. 

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