Se si vuole conoscere qualcuno a un livello più profondo bisogna sapere cosa chiedere Eravamo sedute su una coperta fuori dalla sala da pranzo, con i piedi nudi che penzolavano sul bordo del tessuto.
Camilla aveva 13 anni, e nell’arco di un mese avrebbe iniziato l’ottava classe presso la Mount Vernon Middle School. Io avevo 26 anni e guidavo un ministero locale per le scuole medie in un campo estivo, e quella settimana sarei stata consulente per lei e per un manciata di altri studenti. Nonostante i miei tentativi di chiederle qualcosa su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi animali – domande che in genere ottengono risposte dagli adolescenti che conosco, visto che i bambini sono meno cauti degli adulti –, lei rimaneva in silenzio.
Ero perplessa.
Il mio unico compito per quel giorno era parlare con le ragazze del mio gruppo, ma con lei nulla sembrava funzionare.
Anna era così appassionata del suo lavoro con gli studenti delle scuole medie da spendere la sua vita professionale prendendosi cura delle loro necessità, prima come pastore giovanile, poi come consulente e poi come terapeuta adolescenziale.
Se c’era qualcuno che sapeva come arrivare alle Camilla di questo mondo era proprio Anna. Avrei voluto tanto saper fare lo stesso.
“Ho tre domande per te”, dissi, poi respirai profondamente. Se questo non avesse funzionato, la nostra conversazione sarebbe rimasta del tutto unilaterale.
Chi sei? Chi sono i tuoi amici? Dove stai andando?
Le domande non venivano poste in rapida successione. Le abbiamo affrontate una per volta, lentamente. E con mia grande gioia hanno suscitato l’interesse di Camilla. Anche se non mi offriva lunghe spiegazioni come avrebbero fatto alcuni dei suoi coetanei, le sue risposte anche di un’unica parola erano comunque un passo nella giusta direzione. Quel pomeriggio è cambiato qualcosa nella nostra amicizia. Forse ha iniziato a credere che mi potesse importare di lei. Forse ha iniziato a fidarsi di me.
È stato da allora, dalla mia esperienza con Camilla, che ho iniziato a porre quelle tre domande a ogni studente di scuola media che incontravo, perché quando a una persona giovane viene chiesto della sua identità, della sua comunità e di quello che vuole diventare da grande accade qualcosa nel più profondo del suo essere.
Si sente conosciuta. Si sente compresa. Si sente ascoltata.
E scommetto che vale lo stesso anche per gli adulti.
Provate a porre queste tre domande dopo essere arrivati in una nuova comunità
Più o meno un anno fa, la mia famiglia ed io ci siamo spostati da un lato all’altro della baia di San Francisco.
Spostarsi di 25 miglia può non sembrare un grande salto, ma sapevamo che non avremmo potuto contare sulle stesse amicizie. Sapevamo che ci saremmo dovuti fare strada in una nuova serie di strade e quartieri. Avremmo dovuto trovare nuove drogherie e una nuova chiesa, e un nuovo campo giochi per i nostri bambini.
E sapevamo che alla fine avremmo dovuto trovare nuove persone. Ma ricominciare è difficile, soprattutto quando non si sa quale sarà la risposta degli altri.
È stato allora che la mia vicina Julie è entrata nella mia vita.
Ne avevo sentito parlare da varie persone del nostro isolato: “Hai già conosciuto Julie?”, “Julie ti piacerà moltissimo, devi conoscerla!”, “Ha dei figli più o meno dell’età dei tuoi. Incontra Julie!” Ma non ero abbastanza coraggiosa da andare a bussare alla sua porta, almeno non ancora. E allora ha preso lei l’iniziativa.
Avevo portato i miei figli al bar del quartiere.
“Salve!”, mi disse l’estranea.
“Salve…”, risposi, non avendo idea di chi fosse.
“Sei Cara, vero? Sono Julie, la tua vicina…” Si fermò, sperando che avrei riconosciuto il suo nome prima di dover fornire altre spiegazioni.
“Sì! Julie, sì, sì!” Provavo una strana eccitazione. Ci siamo scambiate i numeri di telefono e mi ha invitato da lei la settimana dopo.
Mentre ero seduta nel suo salotto, sorseggiando tè aromatizzato, mi ha posto una variazione sul tema delle domande che avevo posto alle ragazze della scuola media dieci anni prima.
Voleva sapere chi fossi davvero. Voleva scoprire cosa mi dava la vita. Voleva conoscermi. Capiva che un trasferimento non era facile. Capiva cosa si prova a sentirsi intrappolati in casa propria, alla mercè dei pisolini del bambino. Poi mi ha chiesto dei miei sogni, di quello che volevo fare e di quello che avevo già fatto nella vita.
“Mi piace”, disse alla fine della nostra conversazione, “e non vedo l’ora che diventiamo amiche”.
Le sorrisi, colpita da questa donna che mi faceva sentire interessante – che mi faceva sentire conosciuta. Voleva costruire un’amicizia. Voleva conoscere chi ero davvero, e lo aveva fatto ponendomi le tre domande che, senza neanche saperlo, stavo morendo dalla voglia di sentirmi rivolgere:
Chi sono io? Chi sono i miei amici? Dove sto andando?
Perché che abbiamo 13 anni o 30, vogliamo comunque essere conosciute. Vogliamo essere capite.
Non siete d’accordo
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Cara Meredith è una scrittrice e speaker della San Francisco Bay Area. È membro dell’Associazione degli Scrittori Redbud e ospita il podcast del club letterario mensile di Shalom in the City. Sta scrivendo il suo primo libro sul viaggio nell’imparare a vedere i colori. Ha un master in Teologia e può essere contattata attraverso il suo blog, Facebook e Twitter. È sposata con James e hanno due bambini.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]