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Un anno di Laudato si’, iniziative in tutto il mondo

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Vatican Insider - pubblicato il 08/06/16
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«Laudato si’» un anno dopo: dal 12 al 19 giungo sono previste iniziative in tutto il mondo per promuovere nel concreto gli insegnamenti contenuti nell’enciclica «ambientale» di papa Francesco pubblicata un anno fa. A coordinare il tutto è il «Movimento cattolico mondiale per il clima» in collaborazione con diverse istituzioni cattoliche sparse in tutto il mondo. E un ruolo centrale in questo impegno lo sta assumendo l’America, dal nord al sud, con le sue diocesi, associazioni, movimenti. L’Enciclica dunque continua a produrre esperienze e cambiamenti, testo vivo e riferimento per discussioni e azioni concrete. Anche il Celam, il Consiglio episcopale dell’America Latina, partecipa alle iniziative insieme alla «Confederazione interamericana dell’educazione cattolica», l’organismo che riunisce buona parte delle religiose degli Stati Uniti cioè la Leadership Conference of Women Religious (Lcwr) nonché gli organismi collegati con le commissioni «Giustizia pace e integrità del Creato». Fino a ora sono oltre mille le parrocchie e le comunità che, in tutto il mondo, già hanno messo in programma un’iniziativa per la «Settimana della Laudato si’».  

D’altro canto i temi trattati dall’Enciclica sono di drammatica attualità, lo ricorda fra l’altro Avvenire, il quotidiano della Cei, che riportava di recente i dati dell’«Atlante globale per la giustizia ambientale», realizzato con la collaborazione di 23 università. Secondo i dati diffusi da quest’organismo, sono 1746 i conflitti ambientali piccoli e grandi aperti nel mondo. Molti di questi sono legati allo sfruttamento minerario, dall’Asia all’America Latina, ma la cifra comunque potrebbe essere approssimata per difetto, poiché da vari paesi, come Messico, Brasile, Cina, arrivano notizie frammentate e incerte e questo tipo di conflitto viene normalmente occultato. E a essere coinvolti sono spesso grandi gruppi industriali dediti ad attività estrattiva e comunità locali, contadini, gruppi indigeni, villaggi. Pezzi di sud del mondo che non di rado soccombe di fronte al soggetto più forte; è quanto avviene in Africa, per esempio in Niger, dove sono state prodotte 100mila tonnellate di uranio in sette anni, o in Nigeria, paese in cui si lavora in modo massiccio e invasivo per estrarre il petrolio senza misure di sicurezza adeguate per le popolazioni e per l’ambiente. I risultati sono spesso catastrofici e le guerre endemiche. 

E di certo l’America Latina, l’area del mondo dalla quale proviene il Papa, vive in questo senso con particolare sensibilità e attenzione pastorale la proposta di «Laudato si’». I temi collegati fra loro della biodiversità, della difesa dei territori dallo sfruttamento industriale intensivo, delle culture indigene e popolari, sono poi sentiti in modo specifico dalle chiese latinoamericane. Per questo pure è nato il Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica, in difesa dell’ambiente e delle comunità locali. Un organismo che sta mettendo in rete – appunto – esperienze diverse fra loro, permettendo una scambio di informazioni, un’azione pastorale condivisa, e una capacità di sensibilizzazione e denuncia più consistente. Fra le varie questioni aperte, fra l’altro, c’è senz’altro quella dell’invasività dell’industria estrattiva che non solo danneggia gravemente il territorio, ma porta con sé anche forme estreme di sfruttamento del lavoro minorile. 

Lo ricordava poco tempo fa Andrea Iacomini, portavoce di Unice Italia, alla Radio Vaticana: «In alcuni Paesi – spiegava – fanno orari molto stressanti, vivono per giorni e giorni nelle miniere, per ore e ore nei campi. Dobbiamo distinguere dal tipo di lavoro che fanno, perché spesso in paesi molto poveri – e ricordiamo che la povertà è la causa principale dello sfruttamento e della schiavitù minorile – è chiaro che le famiglie hanno bisogno di braccia in attività che sono spesso non così pesanti». «Ma è vero anche – aggiungeva – che vengono sottoposti a grandi sforzi, specialmente in alcuni paesi dell’Asia o dell’America del Sud: cito il caso della Bolivia, perché tempo fa abbiamo visto che molti bambini venivano sfruttati proprio all’interno delle miniere e con orari massacranti! Tutto questo è contrario alle norme della “Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, che vieta questo tipo di pratiche: è stata approvata nell’89 da tutti i paesi del mondo – e questo lo voglio ricordare! – e vieta questo tipo di pratiche proprio nei confronti dei bambini». 

Il tema dello stretto rapporto fra biodiversità e culture indigene, era pure toccato dall’Enciclica del Papa al numero 134 dove si legge: «Molte forme di intenso sfruttamento e degrado dell’ambiente possono esaurire non solo i mezzi di sussistenza locali, ma anche le risorse sociali che hanno consentito un modo di vivere che per lungo tempo ha sostenuto un’identità culturale e un senso dell’esistenza e del vivere insieme». «La scomparsa di una cultura – proseguiva il testo – può essere grave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale. L’imposizione di uno stile egemonico di vita legato a un modo di produzione può essere tanto nocivo quanto l’alterazione degli ecosistemi». 

Infine, negli ultimi mesi, la costa meridionale del Cile è stata interessata da una sorta di marea rossa dovuta al proliferare di un’alga di quel colore, un fenomeno che si è ripetuto nel tempo ma che quest’anno ha assunto dimensioni enormi provocando così la morte di una quantità enorme di salmoni e di fauna marina. Da una parte il fenomeno è legato all’evento climatico del cosiddetto «El nino», cioè al riscaldamento del mare, e tuttavia si teme che il problema sia dovuto anche a un eccesso di scarichi industriali versati in mare dalle grandi multinazionali della pesca al salmone che ormai agiscono in modo intensivo nella regione. Per questa ragione, peraltro, è stata nominata dalle autorità una commissione che dovrà indagare sull’accaduto in quanto la vita di intere comunità costiere è stata messa in pericolo. 

«Ci sono seri dubbi che questa commissione sia indipendente e non condizionata dalle multinazionali del salmone» ha detto il vicario apostolico di Aysen, monsignor Luis Infanti de la Mora, località al centro della crisi ambientale, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Sir. «Da trent’anni – ha spiegato ancora il Vescovo – la politica neoliberista ha favorito l’arrivo in Cile di multinazionali per sfruttare le abbondanti risorse presenti nel nostro territorio: minerali, pesci, acqua, energia». «In particolare – ha proseguito – le nostre regioni sono le preferite per la salmonicoltura in gabbie marine. La pesca industriale che, grazie a una legge, ha quasi eliminato la pesca artigianale e consegnato l’industria della pesca a quattro grandi imprese norvegesi e cilene. Il controllo dello Stato è quasi nullo e l’eccessivo desiderio di profitto delle impresa ha favorito la depredazione delle specie marine e l’inquinamento dei mari». 

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