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A nuoto dalla Siria, la 18enne Yusra è il “volto della speranza” delle Olimpiadi

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Valerio Evangelista - Aleteia - pubblicato il 08/06/16
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Scappata da Damasco dopo che le bombe le hanno distrutto la casa, ha salvato 19 persone da un naufragio inevitabile nuotando per tre ore fino all’Isola di Lesbo. E il Comitato Olimpico Internazionale ha premiato il suo eroismoDieci atleti da Africa e Medio Oriente sono stati chiamati a gareggiare nelle Olimpiadi di Rio de Janeiro, costituendo la prima squadra nella Storia ad essere interamente formata da rifugiati. Per il comitato organizzatore la scelta rappresenta un “simbolo di speranza” per i rifugiati di tutto il mondo.

Siamo convinti che questa squadra olimpica composta da rifugiati possa essere un simbolo di speranza per i rifugiati di tutto il mondo”, ha dichiarato Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, durante un incontro del comitato tenutosi a Losanna. “È anche un segnale alla comunità internazionale del fatto che i rifugiati sono esseri umani come noi, e che possono contribuire alla società”.

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La squadra, selezionata tra 43 candidati, è composta da dieci atleti – provenienti dal Sud Sudan (5), dalla Siria (2), dal Congo (2) e dall’Etiopia (1) – che parteciperanno alle gare di judo, 400 metri, 1500 metri e nuoto.

E proprio in quest’ultima disciplina la ROA (Refugee Olympic Athletes) sarà rappresentata anche da Yusra Mardini. La ragazza, una 18enne cresciuta a Damasco, è dovuta scappare nel 2012 dopo che i bombardamenti le hanno distrutto la casa.

La sua fuga è iniziata in Libano insieme alla sorella Sarah, con la quale è poi partita dal porto di Smirne, in Turchia, verso la Grecia. Ma il loro viaggio è stato pieno di sfide e pericoli. Il motore si è infatti inceppato appena raggiunto il mare aperto, e la barca (adatta a trasportare soltanto sei o sette persone, ma con a bordo ben 20 migranti) ha subito iniziato a imbarcare acqua.

Senza indugi, le due sorelle si sono tuffate in mare e, insieme ad un’altra donna, hanno trascinato l’imbarcazione fino all’Isola di Lesbo. Hanno nuotato per ben tre ore, con una tale frenesia da smarrire le scarpe lungo il tragitto. “Non sarei rimasta là a lamentarmi che sarei potuta annegare: c’erano alcune persone non sapevano affatto nuotare. Se fossi affogata, almeno sarei morta orgogliosa di me e di mia sorella”, ha dichiarato la giovane atleta.

Nell’autunno del 2015 le due sorelle si sono stabilite in Germania, dove adesso vivono anche i loro genitori. Appena arrivata a Berlino, Yusra è stata presentata al Wasserfreunde Spandau 04, una squadra di nuoto situata nei pressi del centro per profughi dove si trova lei. La piscina nella quale si è allenata era stata inizialmente costruita per le Olimpiadi di Berlino del 1936. Una situazione quasi profetica.

Storie come quella di Yusra aiutano a non dimenticare il calvario del popolo siriano. La ragazza, che nel 2012 ha rappresentato la Siria nel FINA World Swimming Championships, ha raccontato con commozione la sua esperienza durante la guerra: “È stata dura. A volte sono cadute bombe in piscina proprio quando ci stavamo allenando”.

Ma Yusra è ottimista ed è determinata a ispirare, con il suo esempio, molte persone da tutto il mondo: “Prima di tutto voglio [partecipare alle Olimpiadi] per ispirare le persone. Quando la vita presenta dei problemi non bisogna sedersi e mettersi a piagnucolare. Il problema che ho affrontato è stato il motivo che mi ha portato qui e la ragione per cui mi sento più forte. Voglio raggiungere i miei obiettivi. Voglio ispirare le persone e dire che chiunque può realizzare ciò che è nel proprio cuore”.

Una determinazione che, considerando il terribile contesto, è letteralmente disarmante: “Fallirò, qualche volta. E proverò di nuovo. Forse sarò triste, sì, ma non lo darò a vedere. Proverò di nuovo, e poi di nuovo, fino a quando non otterrò ciò che voglio. Voglio mostrare alle persone che è difficile raggiungere i propri sogni, ma non è impossibile. Potete farcela. Ognuno può farcela”.

Clicca sulla prima foto per sfogliare la fotogallery (photocredit: Alexander Hassenstein/Getty Images per l’International Olympic Committee Newsroom)

 

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