Non riuscivo a smettere di catalogare i difetti e le mancanze nella mia vita. Ma poi ho fatto i conti con la realtà (in un modo inaspettato)
Il primo appartamento di me e mio marito è stato, come molte case di novelli sposini, piccolo e modesto. All’inizio non mi pesava. Ero anzi entusiasta di avere una cucina “vera” tutta per me, di utilizzare asciugamani abbinati e di disporre i mobili in modo che fosse più comodo ospitare amici. Gli elettrodomestici vecchi, il pavimento consumato e la “sublime” vista su un parcheggio non mi davano fastidio. Ero soltanto felice di condividere un luogo con il mio bel maritino.
Ma dopo il primo anno di matrimonio ho cominciato a notare i difetti di quella casa modesta. Ho iniziato a chiedermi se non avessimo dovuto prendere in affitto un posto con un tappeto più carino, in una posizione migliore e addirittura con un giardino tutto nostro. Nel mio cuore, un po’ alla volta, è aumentato il malcontento. Cercavo di essere impeccabile con gli ospiti, paragonando continuamente la mia casa a quella di amici e conoscenti.
Quella che all’inizio era una propensione al paragone, è presto diventata una vera e propria ossessione. Non facevo altro che valutare ciò che avevo e notare che era imperfetto. Quando l’affitto è aumentato ci siamo trasferiti in una casetta con un bel giardino sul retro, ma la mia brama di avere “qualcosa in più” non è stata appagata. Anzi, ho addirittura trovato più cose di cui lamentarmi. I mobili erano ancora pochi, il bagno non era abbastanza grande, ecc. In sostanza, il mio cuore ignorava categoricamente le benedizioni che mi erano state donate sino a quel momento – sia materiali che immateriali.
Ma presto ci siamo trovati in circostanze che mi hanno fatto riconsiderare i miei cavilli puntigliosi. Poco dopo la nascita del nostro primo figlio, abbiamo attraversato delle difficoltà lavorative e siamo dovuti andare a vivere per qualche mese con i nostri genitori. Condividendo gli spazi con altre persone, in quella fase deprimente di disoccupazione, ho iniziato a desiderare così tanto l’appartamento vecchio ma accogliente, o la nostra umile casetta. Oh, quanto avrei apprezzato allora quelle benedizioni!
È naturale cercare la felicità
Praticamente ogni persona è alla ricerca di appagamento, di felicità, di autentica pace. Ma tendiamo a ricercare la gioia in cose migliori di quelle che abbiamo già; vogliamo più macchine o elettrodomestici, un aspetto migliore, uno status sociale diverso. Ci illudiamo che saremo felici una volta raggiunto il traguardo successivo: quando compreremo casa, otterremo un lavoro migliore, ci sposeremo, avremo figli, il nido sarà vuoto, ecc. Molti di noi cercano la felicità finendo però col rimanere interiormente vuoti.
Come possiamo quindi cercare la felicità e tentare di essere soddisfatti, se il mondo materiale ci tenta così spesso? Ecco tre strategie.
1. Siate grati
Dr. Brene Brown, best-selling author del New York Times e ricercatore, scrive: “In 12 anni di ricerche, non ho mai intervistato una singola persona che abbia potuto davvero essere felice senza essere autenticamente grata”.
Devo ammettere che, quando io e mio marito abbiamo iniziato a vivere quella fase di difficoltà finanziaria, ero tutto fuorché grata. Ero preoccupata e mi sentivo umiliata perché avevamo bisogno di aiuto. Ma in realtà c’era così tanto per cui essere grati. Soprattutto il fatto di avere una famiglia che ci sostenesse (fisicamente così come emotivamente) in quei mesi. È stata una grande benedizione.
Ma poi ho iniziato a cambiare la mia mentalità e ad esprimere gratitudine sia per le cose piccole che per quelle grandi. Il mio cuore si è ammorbidito, e io sono stata benedetta con un appagamento ancora superiore. Sia durante la nostra crisi economica che quando ci siamo rimessi in carreggiata.
Le preghiere di ringraziamento contribuiscono ad appagare il nostro bisogno di cose nuove o migliori (che stiamo desiderando una nuova casa, un lavoro migliore, un armadio più spazioso oppure un fidanzato). Da quando ho scelto di essere grata per ciò che avevo già, piuttosto che lamentarmi per ciò che mi mancava, sono decisamente più contenta. Invece di preoccuparmi perché non ho abbastanza – da un punto di vista economico, professionale e sociale – mi concentro sui preziosi doni che ho già ricevuto.
2. Smettetela di fare paragoni
Una famosa frase di Theodore Roosevelt recita: “Il paragone è il ladro della gioia”. Dio ha donato a ognuno di noi una vita unica. A volte potremmo avere la sensazione che l’erba del vicino sia più verde, ma Dio può usare ogni situazione difficile per farci rallegrare. Non sappiamo cosa potrebbe venire fuori dalle situazioni più difficili, né sappiamo chi potremmo diventare grazie alle tempeste attraversate. Come dice Jon Acuff nel suo libro Quitter, “mai paragonare il tuo inizio alla metà di qualcun altro”.
Quando eravamo senza lavoro e abbiamo dovuto lasciare la casa mi sono sentita umiliata. Ogni parte di me ha desiderato e pregato di uscire da quella situazione. Ma guardando indietro, posso vedere che in quel periodo ho imparato delle lezioni molto importanti: ho imparato ad avere compassione per le milioni di persone che negli Stati Uniti lottano per pagare le bollette o portare il pane in casa. La mia difficoltà economica mi ha dato più amore e comprensione per il prossimo. E di questo sono immensamente grata. Quella stagione è stata parte del nostro cammino. E anche se all’epoca non potevamo saperlo, ora siamo persone migliori. Ora vedo che c’era uno scopo di Dio in quella fase così difficile.
3. Volgete lo sguardo a Dio
L’Apostolo Paolo ha scritto: “Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza”.
Qual è stato dunque il segreto di Paolo? Lo leggiamo in Filippesi 4:13, “in Colui che mi dà forza”. 2 Pietro 1:3 richiama questo sentimento, incoraggiandoci: “La sua potenza divina ci ha fatto dono di ogni bene per quanto riguarda la vita e la pietà, mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua gloria e potenza”.
Questi passi ci ricordano che noi possiamo essere appagati in Dio. Quando ci concentriamo su di Lui e su ciò che Lui ha fatto per noi in Gesù, siamo in grado di sopportare le delusioni e le sfide terrene con grazia e perseveranza. In questa vita nulla sarà mai perfetto, ma se la nostra soddisfazione e contentezza hanno radici in Dio, potremo passare dalla ricchezza alla povertà estrema mantenendo intatta la nostra gioia. Per me questo è stato reale. Quando confido nel fatto che Dio è al controllo della mia vita, e che Lui è buono e farà ogni cosa per il mio bene, la mia gioia resta costante a prescindere dalle circostanze. Quando sono concentrata nel vivere la mia vita inseguendo le Sue vie, sono davvero e profondamente felice.
Sembra difficile sentirsi appagati in un mondo pieno di (quasi onnipresente) pubblicità. Siamo bombardati da messaggi che ci illudono di poter trovare la felicità in un soggiorno nuovo, in una macchina più splendente, o in un corpo più abbronzato. Queste cose possono essere dei doni favolosi, ma se sono loro (o altre cose) la fonte della nostra felicità, di certo non resteremo felici a lungo. Ci sarà sempre qualcosa di migliore o di più nuovo a cui dover affidare la nostra felicità. Trovare un appagamento duraturo è un viaggio continuo, è una battaglia. Ma è una battaglia che voglio portare avanti. E sono certo che anche tu lo voglia, perché in fondo chi non vorrebbe essere davvero felice?
[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]