I vescovi che sono stati negligenti riguardo ad abusi sessuali compiuti su minori saranno rimossi dal loro incarico. E’ quanto sancisce il Motu proprio “Come una madre amorevole” di Papa Francesco che rafforza l’impegno della Chiesa a tutela dei minori. Il Pontefice stabilisce che, tra le “cause gravi” che il Diritto Canonico già prevede per la rimozione dall’ufficio ecclesiastico (di vescovi, eparchi o superiori maggiori), va compresa anche la negligenza rispetto ai casi di abusi sessuali. Nel testo, composto di 5 articoli, si prevede che – qualora gli indizi appaiano seri – la competente Congregazione della Curia può iniziare un’indagine che può concludersi con il decreto di rimozione. La decisione deve comunque sempre essere sottomessa all’approvazione del Pontefice.
Il “compito di protezione e di cura spetta alla Chiesa tutta, ma è specialmente attraverso i suoi Pastori che esso deve essere esercitato”. E’ quanto scrive Papa Francesco nel Motu Proprio “Come una madre amorevole” con il quale rafforza la protezione dei minori, sottolineando la responsabilità dei Vescovi diocesani – degli Eparchi così come dei Superiori Maggiori di Istituti Religiosi e delle Società di vita apostolica di diritto pontificio – ad “impiegare una particolare diligenza nel proteggere coloro che sono i più deboli tra le persone loro affidate”. Il Pontefice ricorda che il Diritto Canonico già prevede “la possibilità della rimozione dell’ufficio ecclesiastico per cause gravi”. Con ilMotu Proprio, afferma il Papa, “intendo precisare” che tra tali cause rientra anche “la negligenza dei Vescovi” relativamente “ai casi di abusi sessuali compiuti su minori ed adulti vulnerabili” come previsto dal Motu Propro di San Giovanni Paolo II, Sacramentorum Sanctitatis Tutela, aggiornato da Benedetto XVI.
Vescovo può essere rimosso per “mancanza di diligenza grave” in caso di abusi su minori
Con il documento firmato da Francesco, si stabilisce fin dal primo dei 5 articoli che il vescovo diocesano (o l’eparca o colui che ha una responsabilità temporanea di una Chiesa particolare) può essere “legittimamente rimosso dal suo incarico, se abbia, per negligenza, posto od omesso atti che abbiano provocato un danno grave ad altri”, sia persone che comunità. Si specifica inoltre che questo danno può essere “fisico, morale, spirituale o patrimoniale”. Il vescovo (al quale sono equiparati i Superiori Maggiori), prosegue l’articolo 1, può essere rimoso solo se “abbia oggettivamente mancato in maniera molto grave alla diligenza che gli è richiesta dal suo ufficio pastorale, anche senza grave colpa morale da parte sua”. Tuttavia, in caso di abusi su minori, “è sufficiente che la mancanza di diligenza sia grave”.
La decisione finale va sempre approvata dal Papa, assistito da un Collegio di giuristi
Qualora gli indizi siano “seri”, prosegue l’articolo 2 del Motu Proprio, la competente Congregazione della Curia Romana (Vescovi, Evangelizzazione dei Popoli, Chiese Orientali, Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica) può “iniziare un’indagine in merito” dando notizia all’interessato che ha “la possibilità di difendersi” con i “mezzi previsti dal diritto”. In seguito agli argomenti presentati dal vescovo, la Congregazione può “decidere un’indagine supplementare”. Negli articoli 3, 4 e 5 il Motu Proprio norma dunque la procedura con la quale si decide l’eventuale rimozione dall’incarico. La Congregazione che assume tale decisione, in Sessione ordinaria, può stabilire se dare “nel più breve tempo possibile, il decreto di rimozione” o esortare il vescovo “a presentare la sua rinuncia in un termine di 15 giorni”, concluso il quale il Dicastero potrà “emettere il decreto”. Nell’ultimo articolo si stabilisce che la decisione finale dovrà essere “sottomessa all’approvazione specifica del Romano Pontefice” che, “prima di assumere una decisione definitiva si farà assistere da un apposito Collegio di giuristi”.
Padre Lombardi: negligenza non è delitto, per questo non è chiamata in causa la Dottrina della Fede
In una nota, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha sottolineato che nella procedura a cui si riferisce il Motu Proprio “non è chiamata in causa la Congregazione per la Dottrina della Fede, perché non si tratta di delitti di abuso, ma di negligenza nell’ufficio”. Non si tratta dunque di “procedimento penale”, precisa padre Lombardi, perché non si tratta di un “delitto compiuto, ma di casi di neglienza”. Trattandosi di decisioni importanti sui Vescovi, prosegue il portavoce vaticano, “l’approvazione specifica dipende dal Santo Padre”. Questa non rappresenta una novità, mentre “lo è la costituzione di un apposito Collegio di giuristi che assisterà il Papa prima che assuma una decisione definitiva”. Si può prevedere, conclude la nota di padre Lombardi, che tale Collegio “sia costituito da cardinali e vescovi”.