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Pastori, non impiegati

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Vatican Insider - pubblicato il 30/05/16
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«A me fa male al cuore quando vedo l’orario nelle parrocchie, poi non c’è porta aperta, non c’è prete, non c’è diacono, non c’è laico». Pronunciando ieri queste parole durante la celebrazione del Giubileo dei diaconi, Papa Francesco non ha certo vagheggiato strutture efficientistiche in grado garantire servizi «no stop» al cliente religioso. Né ha auspicato una nuova generazione di pastori geneticamente modificati, in grado di rinunciare al sonno perché iperattivi nell’offrire iniziative pastorali o liturgiche a ogni ora del giorno e della notte, «H24» come si usa dire oggi. Tanto più che nel nostro Paese, come in molti altri dell’Occidente, l’età media del clero cattolico si alza, ci sono meno preti e in futuro sarà sempre più arduo mantenere in funzione il numero attuale di parrocchie. 

Ciò che il Vescovo di Roma sembra piuttosto richiamare è il fatto che l’essere vescovi, parroci, diaconi non è una professione o un’attività lavorativa tra le altre, con orario di lavoro sindacalmente stabilito. È invece una missione e un servizio, che si fa a Dio servendo il suo popolo. Vivendo immersi nel suo popolo. Per questo Francesco ricorda ai pastori che devono imparare a distaccarsi dai loro stessi programmi e pertanto essere disposti a interrompere il meritato riposo, un momento piacevole o una lettura più o meno spirituale, per incontrare chi bussa alla porta, chi si presenta, chi chiede aiuto, conforto, consiglio. Perché proprio l’accoglienza, l’andare incontro all’altro, la disponibilità generosa all’ascolto, mettersi al servizio di chi arriva anche fuori orario, è ciò che rende peculiare la missione di un pastore differenziandola da quella di un qualsiasi impiego.  

Chi dunque immagina che Papa Bergoglio desideri il frenetico moltiplicarsi di iniziative, di attività di auto-occupazione ecclesiale, in nome di una nuova forma di marketing religioso, è fuori strada. Per incontrare l’altro che è nel bisogno spirituale o materiale, per accogliere e accompagnare, non serve aggiungere chissà quali nuove attività o dedicarsi a strategie di marketing.  

Pochi giorni fa, parlando ai vescovi italiani, Francesco aveva detto che il prete «con l’olio della speranza e della consolazione, si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza. Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza».  

«Servo della vita – continuava il Papa tracciando un identikit del pastore – cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione. È un uomo di pace e di riconciliazione, un segno e uno strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi». È qualcuno che non soltanto si fa facilmente trovare ma sa anche andare a cercare chi può avere bisogno di lui.  

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