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“Amoris laetitia fa un passo nella direzione segnata da Wojtyla”

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Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 30/05/16
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Intervista con il filosofo Rocco Buttiglione, profondo conoscitore del magistero di san Giovanni Paolo II«Amoris laetitia comporta dei rischi pastorali. Qualcuno potrà dire di ritenerla una scelta pastorale sbagliata, ma per favore lasciamo perdere i toni apocalittici e non diciamo che si sta mettendo in discussione la dottrina sull’indissolubilità quando ci troviamo di fronte a un scelta pastorale che riguarda la disciplina dei sacramenti e che s’innesta in un percorso le cui premesse sono state poste da Giovanni Paolo II». Il professor Rocco Buttiglione, filosofo, studioso e conoscitore profondo del magistero di Papa Wojtyla, è rimasto colpito da alcune delle critiche rivolte all’esortazione postsinodale di Francesco. Vatican Insider lo ha intervistato.

Che cosa pensa dell’esortazione Amoris laetitia nel suo complesso?

«Mi sembra un grande tentativo di dire la parola della fede nel contesto del mondo di oggi. Che era anche la grande preoccupazione di Giovanni Paolo II: l’uomo concreto, l’uomo esistente, l’uomo della realtà, non quello descritto nei libri o quello così come vorremmo che fosse».

Che rapporto vede tra questo documento di Francesco e il magistero di Papa Wojtyla?

«Una volta la Chiesa scomunicava i divorziati risposati. Lo faceva per una giusta preoccupazione: non dar scandalo e non mettere in discussione l’indissolubilità del matrimonio. Ma allora vivevamo in una cristianità compatta. Si poteva supporre che tutti sapessero che cosa fosse il matrimonio, un sacramento nel quale gli sposi si rendono reciprocamente garanti dell’amore di Dio e dunque se ti abbandono, in qualche modo è come se Dio ti abbandonasse. Giovanni Paolo II ha detto che non si possono scomunicare i divorziati risposati, ricordando che in ogni peccato esistono fattori oggettivi e fattori soggettivi. Ci sono persone che possono fare la cosa sbagliata, che resta un male, ma senza esserne totalmente responsabili. E allora Papa Wojtyla ha aperto, invitando i divorziati risposati a entrare nella Chiesa, accogliendoli, battezzandone i figli, reintegrandoli della comunità cristiana. Ma senza riammetterli alla comunione – è il punto 84 di Familiaris consortio – a meno che non ritornino con il coniuge legittimo, o si separino dal nuovo coniuge, o ancora vivano la seconda unione come fratello e sorella, cioè astenendosi dai rapporti sessuali».

E ora Amoris laetitia che cosa propone?

«Francesco fa un ulteriore passo in avanti in questa direzione. Non dice che i divorziati risposati possono ricevere o pretendere la comunione, evviva! No! Il divorzio è pessimo e non ci possono essere atti sessuali al di fuori del matrimonio. Questo insegnamento morale non è cambiato. Il Papa dice che adesso i divorziati risposati possono andare a confessarsi, iniziare un percorso di discernimento con il sacerdote. E come si fa in ogni confessione, per ogni peccato, il sacerdote deve valutare se esistano tutte le condizioni perché un peccato sia considerato mortale. A quei miei colleghi che hanno detto parole forti contro Amoris laetitia vorrei ricordare che san Pio X – non propriamente un Papa modernista – nel suo Catechismo ricordava che il peccato mortale richiede la materia grave, ma anche la piena avvertenza e il deliberato consenso, cioè la piena libertà per assumere in toto la responsabilità di ciò che ho fatto».

Perché questo aspetto è così importante per il caso di cui stiamo parlando?

«Perché oggi in tanti casi non c’è piena avvertenza. Ci sono masse enormi di battezzati che non sono evangelizzati. Uno potrebbe dire, ma in questi casi, c’è il processo di nullità matrimoniale. Sì, è vero, anche se dobbiamo ricordare che in tante parti del mondo non è così facile accedere ai tribunali ecclesiastici e poi non è sempre così facile scoprire la verità. Viviamo in un mondo di famiglie ferite, di persone ferite, persone che possono trovarsi in situazioni dalle quali non sono in grado di uscire. Bisogna valutare tutto e aiutarle a uscire dalla situazione di peccato, iniziare un percorso, ma senza far violenza ai coniugi che le hanno accompagnate nella seconda unione e che magari sono stati vicini in un momento drammatico della loro vita: pensiamo al caso di una mamma con bimbi piccoli abbandonata dal marito che si è unita a un uomo il quale si è preso cura di quei figli. Stiamo parlando di questioni che richiedono discernimento, delicatezza, grande umanità, compassione, accompagnamento…».

Con quale sbocco finale, professore?

«La domanda è: a che punto di questo percorso il prete darà la comunione? Quando riterrà che vi siano le condizioni, senza automatismi o scorciatoie, ma anche senza sbattere le porte in faccia prima di aver seriamente valutato le storie personali. È questa l’idea della Chiesa ospedale da campo tanto cara a Papa Francesco. Se fossimo al Bethesda Naval Hospital dove viene curato il Presidente degli Stati Uniti il paziente uscirebbe perfettamente guarito, dopo che sono stati compiuti tutti gli interventi necessari. Nell’ospedale da campo si cominciano a tamponare le ferite».

Questa prospettiva in quale rapporto è con la tradizione della Chiesa?

«Questa prospettiva è perfettamente tradizionale. Amoris laetitia dice: valutiamo le condizioni soggettive anche per il peccato di chi ha divorziato e vive in una nuova unione. È una questione eminentemente pastorale. Ricordo don Luigi Giussani quando ci diceva: “Dovete giudicare gli atti, mai giudicare le persone, perché questo spetta solo a Dio”. Solo a Dio e anche un po’ al confessore. Ho letto interventi drammatizzanti e inaccettabili sul documento, e in particolare su una nota a pie’ pagina».

Con l’esortazione apostolica Amoris laetitia qualcosa è dunque cambiato?

«Certo che qualcosa è cambiato! Ma non è cambiata la morale né la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio. Cambia la disciplina pastorale della Chiesa. Fino a ieri sul peccato commesso dai divorziati risposati c’era una presunzione di totale colpevolezza. Adesso anche per questo peccato si valuta l’aspetto soggettivo, così come avviene per l’omicidio, per il non pagare le tasse, per sfruttare gli operai, per tutti gli altri peccati che commettiamo. Il prete ascolta e valuta anche le circostanze attenuanti. Sono queste circostanze tali da cambiare la natura della situazione? No, il divorzio e la nuova unione restano oggettivamente un male. Sono queste circostanze tali da cambiare la responsabilità del soggetto coinvolto? Forse sì. Bisogna discernere».

La sottolineatura sull’aspetto soggettivo non rischia di portare a una forma di soggettivismo?

«Non è soggettivismo. È la giusta considerazione della soggettività umana. Questo lo insegna san Tommaso d’Aquino: hai fatto una cosa sbagliata ma non sempre ti si può attribuire tutta la responsabilità. In fondo questa dottrina morale inizia sul Calvario, quando Gesù crocifisso dice: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”».

C’è chi afferma che arrivare a riammettere all’eucaristia, soltanto i certi casi e dopo un percorso di discernimento, persone in questa situazione equivarrebbe a cambiare la dottrina della Chiesa. Che cosa ne pensa?

«Non è una questione di dottrina. La dottrina rimane quella che è a proposito della valutazione su ciò che è male e di ciò che non lo è. Stiamo parlando invece della responsabilità soggettiva e delle eventuali circostanze attenuanti. Nell’annunciare il Vangelo dobbiamo chiederci che cosa va detto prima e che cosa va detto dopo. Gesù a Giovanni e Andrea non ha detto: “Prima osservate i comandamenti”, ma “Vieni e vedi!”. Quando san Paolo sale sull’Aeropago di Atene ha il cuore che bolle di rabbia per tutti quegli altari alle varie divinità. Quando però prende la parola dice agli ateniesi: “Ammiro la vostra religiosità…” e poi valorizza l’altare al Dio ignoto, annunciando Gesù Cristo. Parte da lì. Verrà il tempo in cui dire che gli altri altari vanno tolti. Papa Francesco annuncia che Gesù ama ogni uomo e ogni donna in qualsiasi situazione essi si trovino e vuole che ogni uomo e ogni donna possano salvarsi incontrando l’abbraccio della sua misericordia. Poi verranno i comandamenti, ma non possiamo permettere che un errore commesso nella vita possa escludere qualcuno da questo abbraccio».

Eppure san Giovanni Paolo II ha combattuto l’etica della situazione, che si fonda sull’aspetto soggettivo…

«Quello che vedo in alcuni oppositori del Papa è la volontà di stare soltanto sul lato dell’oggettività. È vero, come lei ricorda, che Papa Wojtyla ha combattuto l’etica della situazione, secondo la quale non c’è oggettività ma solo l’intenzione soggettiva. Ovvio che non è così: esiste la natura oggettiva di un atto. Ma Giovanni Paolo II non ha mai pensato, neanche lontanamente, di cancellare la soggettività. Ci sono situazioni di peccato dalle quali è difficile districarsi. Viviamo in una società pansessualista, nella quale è venuta meno la coscienza di certe evidenze etiche. Perché certe verità vengano assimilate da tutti ci vuole pazienza e ci vuole la fatica di un percorso. Ci sono dei rischi? Certo! Qualcuno potrebbe essere portato a pensare che il divorzio e la nuova unione non siano più un male; qualcuno che è rimasto fedele anche da separato al suo matrimonio potrebbe pensare di aver sbagliato; qualcun’altro potrebbe temere il rischio che le coscienze si indeboliscano. Ci sono dei rischi pastorali, senza dubbio. Per questo bisogna accompagnare e spiegare. Ma si tratta di una decisione pastorale. Qualcuno potrà dire di ritenerla sbagliata ma per favore lasciamo perdere i toni apocalittici e non diciamo che si sta mettendo in discussione la dottrina sull’indissolubilità quando ci troviamo di fronte a un scelta che riguarda la disciplina dei sacramenti e che s’innesta in un percorso le cui premesse sono state poste proprio da Giovanni Paolo II».

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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