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“Liberatelo”…così il Signore ci coinvolge nel processo salvifico

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don Fabrizio Centofanti - pubblicato il 27/05/16
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Nei Vangeli si riportano episodi di risurrezione o – come qualcuno preferisce dire – di rianimazione di cadaveri. Essi pongono problemi insolubili a una mentalità razionalistica: non pochi interpreti hanno accennato a possibili soluzioni alternative, come quella della morte apparente, appoggiandosi a espressioni di Gesù simili a questa: la fanciulla non è morta, ma dorme.

Se il Signore – come afferma – è la risurrezione e la vita, non dovrebbe suscitare dubbi un miracolo del genere. Tra l’altro, le pagine in cui è presentato hanno tutte insegnamenti di supporto a quello che è proposto come il “clou” del racconto: esempio tipico è l’interferenza della donna vittima di emorragie, che ha deciso di toccare il lembo del mantello di Gesù; Egli ne esalta la fiducia, condizione necessaria per sperimentare la guarigione del corpo e dello spirito.

In realtà c’è un altro presupposto, ancora più importante, che introduce l’episodio della figlia di Jairo: si dice che il Cristo è passato all’altra riva. Per dare vita, è necessario emergere dalla dimensione egoica e raggiungere l’altro nel suo territorio sconosciuto. Come controprova, del drago dell’Apocalisse si dice che, dopo l’ennesimo attacco alla donna e al suo bambino, si ferma sulla spiaggia del mare (Apocalisse 12,1-18): il male è incapace di vivere la Pasqua, il cammino decisivo, dall’io al tu.

Nell’episodio di Lazzaro, a Betania, c’è un dettaglio ulteriore: Gesù risuscita l’amico, che esce dalla tomba ancora avvolto nelle bende della sepoltura. È qui che risuona una parola cui forse non prestiamo l’attenzione che merita: “liberatelo”. Nel rispetto infinito per la nostra dignità: desidera che ci liberiamo gli uni gli altri, che ci doniamo reciprocamente guarigione. Solo così l’amore si rivela come forza contagiosa in grado di cambiare l’uomo, di creare il mondo nuovo da un cosmo che geme e soffre – come scrive Paolo – nelle doglie del parto.

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