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Le icone bielorusse ponte tra Oriente e Occidente. In mostra ai Musei Vaticani

Mother of God, Peskovaya (XVIII sec.) - © Antoine Mekary / ALETEIA - MUSEI VATICANI, GOVERNATORATO SCV

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Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 23/05/16
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Nell’icona anche l’uomo ritrova le sue sembianze. L’iconografo A. Zharov: Chi non vive la fede non può dipingereTerra d’incontro tra Oriente ed Occidente, per la sua posizione geografica, la Bielorussia ha assorbito nella sua cultura e nella sua arte anche la religiosità di queste due anime, quella ortodossa e quella cattolica. A dimostrazione che il dialogo è non solo possibile ma anche necessario. A testimoniarlo sono le icone della mostra allestita fino al 25 luglio ai Musei Vaticani: “Icone in Bielorussia nel XVII-XXI secolo”, dalla collezione del Museo Nazionale d’arte della Repubblica di Belarus, a Minsk. Tra l’altro questa esposizione è allestita in un momento particolare, coincidendo con il Giubileo della Misericordia ma anche con l’Anno della Cultura in Bielorussia. È la prima volta che le opere sacre bielorusse vengono ospitate in Vaticano. Anche questo frutto di un dialogo che viene da lontano (l’idea è nata almeno 6-7 anni fa), ha raccontato monsignor Tadeusz Kondrusiewicz, arcivescovo cattolico di Minsk. Ricordando il sogno di Giovanni Paolo II di un’Europa che respiri “a due polmoni” e auspicando che questa mostra “contribuisca alla nuova evangelizzazione e alla relazione tra le Chiese cattolica e ortodossa, alleate nella tutela dei valori cristiani”.

La particolarità dell’espressione artistica bielorussa, a cavallo tra due culture, è stata sottolineata dal direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, e dal direttore del Museo d’arte nazionale della Repubblica di Belarus, Vladimir Prokoptsov. Le opere esposte testimoniano la formazione dell’arte bielorussa dal XV secolo ad oggi, nel pieno contesto della cultura europea. Le opere più antiche (XVII-XVIII secolo) presentano una varietà di stili e di tendenze nella quale ricorrono molti elementi della tradizione bizantina, che per prima ha ispirato queste opere. Particolarmente preziose l’icona “Madonna Odigitria di Minsk”, del XVII secolo, quella degli apostoli Pietro e Paolo e quella dell’arcangelo Michele. Due sono le icone rappresentative del XXI secolo, entrambe della tradizione ortodossa: una raffigurazione dei santi Cosma e Damiano e una Dormizione (ovvero il sonno della Vergine Maria, che per gli ortodossi non è morta ma è caduta in un sonno profondo). L’autore è il giovane iconografo Andrei Zharov, 35 anni, membro del Consiglio artistico e architettonico della diocesi di Minsk.

“Dipingere un’icona è innanzi tutto un servizio a Dio – spiega Zharov -. L’iconografia stessa è preghiera. L’iconografo deve vivere il Vangelo e la fede nella propria vita e questo è possibile solo all’interno della Chiesa, nella liturgia e nella preghiera. Possiamo dire che l’icona nasce nella liturgia: più siamo vicini a Cristo, più le nostre icone parleranno in modo convincente di Dio”. Nato in una famiglia di iconografi, Zharov si è formato all’Accademia ortodossa di San Pietroburgo e poi all’Università di San Thikon di Mosca. “C’è molta differenza tra l’iconografia cattolica e quella ortodossa, ma – sottolinea – stiamo cercando di tornare alla tradizione dei primi secoli del cristianesimo, di tornare a quelle radici comuni”. La mostra al Vaticano ha sicuramente un grande valore artistico per Zharov, ma “la cosa principale è che le icone parlino alle persone di Dio e della vita eterna”.

All’inaugurazione della mostra erano presenti le autorità bielorusse e vaticane. L’ambasciatore Sergei Aleinik ha parlato di “ecumenismo e fratellanza” e ha portato il saluto del presidente Aleksandr Lukashenko. Il presidente del Governatorato, cardinale Giuseppe Bertello, ha sottolineato il carattere spirituale delle icone, “espressione di una fede, della vita cristiana di un popolo che manifesta attraverso l’arte la sua devozione e il suo rapporto con il Signore”. L’archimandrita Fedor Povny, di Minsk, ha sottolineato la particolare natura delle icone: “Contemplando il mondo dell’icona, così pacifico e gioioso, e pensando che la sostanza umana è così peccatrice, ci chiediamo se sia possibile che un essere umano possa rinnovare il suo aspetto deiforme così annerito. E i santi nelle icone ci dicono che è possibile”. Da qui l’invito a “sostare senza fretta” davanti alle icone in mostra, “stare davanti in silenzio, ascoltando il comandamento dell’amore che i nostri pittori hanno tradotto nel volto dei santi”.

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