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“La famiglia tradizionale è la cellula essenziale dell’umanità”

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Vatican Insider - pubblicato il 22/05/16
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«Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo a un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo». Così diceva papa Francesco alla comunità ebraica durante la visita alla sinagoga della Capitale, nel gennaio scorso. Restando dunque in famiglia – a poche settimane dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia – parliamo di famiglia con un «fratello maggiore», Riccardo di Segni, 66 anni, rabbino capo di Roma dal 2001. 

Nelle prime pagine dell’Amoris Laetitia papa Francesco ricorda il Salmo 128, ancora oggi proclamato sia nella liturgia nuziale ebraica sia in quella cristiana, che vede al centro la coppia del padre e della madre con la loro storia di amore e di generazione. Viene poi richiamato il Libro della Genesi nel quale è tratteggiata la realtà matrimoniale nella sua forma esemplare. Come istruiscono in ordine alla famiglia i versetti della Genesi fondativi per gli ebrei (e anche per i cristiani)?  

«Nel racconto della creazione del capitolo 1 si legge: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”». Nel secondo racconto della creazione rammento in particolare due momenti: Dio si accorge della solitudine dell’uomo e decide di dargli un aiuto «che gli sia simile (o che gli stia di fronte)»: crea la donna che Adamo riconosce come «carne dalla mia carne ossa dalle mie ossa». Dal loro incontro prende vita la famiglia: «l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. 

L’indicazione che traiamo è, anzitutto, l’obbligo di farla, una famiglia. Il secondo riguarda la forma, che è quella costituita dall’uomo e dalla donna – sui quali si stende la benedizione del Creatore – uniti in matrimonio e aperti alla generazione e alla vita. Questo modello di famiglia, oggi definito “tradizionale”, è il fondamento del legame sociale, la cellula essenziale della grande famiglia umana, il nucleo sul quale ogni società può edificarsi e svilupparsi proseguendo l’opera creatrice di Dio». 

Nel secondo capitolo dell’Amoris Laetitia, dedicato alle «sfide delle famiglie», si fa riferimento a «un cambiamento antropologico-culturale» oggi in atto che influenza tutti gli aspetti della vita. A suo giudizio, come tale cambiamento investe la famiglia?  

«Le sfide sono molteplici, difficile elencarle tutte. Penso ad esempio all’insorgere di valori contrari al legame familiare, a una cultura che scoraggia l’impegno e l’assunzione di responsabilità, all’individualismo che induce le coppie a non affrontare insieme i problemi. Ma penso anche alle difficoltà economiche che possono rivelarsi un macigno insostenibile e – relativamente all’Italia – all’assenza di autentiche politiche di sostegno e di adeguate strutture di supporto. A ciò si aggiunge – ed è il nodo cruciale – il fatto che il modello tradizionale di famiglia non soltanto non è più condiviso, ma è pesantemente messo in discussione: nella nostra epoca sono comparsi modelli alternativi con i quali bisogna fare i conti».  

Questo nodo cruciale è particolarmente sentito e discusso all’interno delle comunità ebraiche italiane?  

«Occorre premettere che le comunità ebraiche sono molto variegate. Direi comunque che per molte persone questo non è un tema su cui focalizzare l’attenzione. Per contro ve ne sono altre che si dimostrano sensibili e attente. Sicuramente è fonte di preoccupazione e riflessione per il mondo rabbinico. Noi sosteniamo e sottolineiamo che modelli alternativi di famiglia mettono a repentaglio la continuità stessa delle comunità, esortiamo e incoraggiamo i dirigenti ad affrontare la questione in seno alle loro comunità. Ciò genera dibattiti dai quali emergono posizioni differenti: c’è chi considera ineluttabile il cambiamento pur non condividendolo ma anche chi vede di buon occhio i modelli alternativi. Noi rabbini siamo concordi nel sostenere e promuovere la famiglia tradizionale».  

Nella nostra epoca la religione ebraica cosa porta in dono all’umanità sul tema della famiglia?  

«Direi proprio il valore e la forza della famiglia tradizionale di cui ho parlato, che per secoli ha rappresentato il fondamento saldo e insostituibile della nostra vita comunitaria e che riteniamo costituisca il modello di riferimento per la vitalità e la sopravvivenza dell’intera famiglia umana. Portiamo in dono anche i nostri modelli di educazione e di trasmissione della fede, la quale passa attraverso la famiglia e il legame tra le generazioni». 

Pensa che possano essere promosse forme di collaborazione tra cristiani ed ebrei per sostenere i legami familiari?  

«Si potrebbero sperimentare, bisognerebbe studiarne le modalità». 

Lo scorso anno, nel corso delle sue catechesi, papa Francesco affermava che la famiglia interpreta e dà vita a quel capolavoro della creazione che è l’alleanza tra l’uomo e la donna, alla quale sono affidate la signoria del mondo e la responsabilità della storia e invitava a «un soprassalto di simpatia per questa alleanza, capace di porre le nuove generazioni al riparo dalla sfiducia e dall’indifferenza». Condivide questa riflessione? Ritiene che ebrei e cristiani possano essere alleati nel sostenere questa alleanza strategica dell’uomo e della donna?  

«È una riflessione importante. Penso che una convergenza tra ebrei e cristiani sia possibile, resta da comprendere come poi potremmo viverla e declinarla concretamente sul piano culturale e sociale». 

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